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Particolare del Tondo Taddei, foto diGiorgio Avigdor

Il Tondo Taddei

da

 

La Madonna e il Bambino nella scultura di Michelangelo

di Deoclecio Redig de Campos

fotografie di Giorgio Avigdor

Ente Fiuggi SPA

 

 

Gli anni trascorsi a Firenze fra il 1501 ed il 1505 furono per il giovane Buonarroti un periodo d’intensa attività, nel campo della scultura come in quello della pittura. Sono di allora, oltre alla Nostra Donna di Bruges, il David di marmo e quello, smarrito, di bronzo; il perduto Cartone della Battaglia; i bassorilievi della Madonna di Londra e di quella del Bargello. Andava scoprendo se stesso con mirabile celerità, come in un glorioso crescendo, sicché ben presto le opere incominciate perdevano per lui ogni interesse, e molte ne lasciò incompiute: boccioli appassiti prima di fiorire, mentre altri urgevano sullo stesso ramo.

Mai Michelangelo ha lavorato tanto, e questo impaziente fervore pare a me una fra le varie cause del tanto discusso « non finito » nella sua prima fase stilistica, di cui la Madonna Taddei dà un chiaro esempio. Problemi diversi, pone invece, il « non finito » nelle opere della maturità, come le statue della Cappella Medicea, ed altri ancora incontra chi voglia cercar d’intendere quelle della sua estrema vecchiezza, quale la Pietà Rondanini.

Mentre il Condivi ne tace, Giorgio Vasari ci dà la più antica notizia intorno al Tondo Taddei in ambedue le stampe delle sue biografie, pur senza indicarne il soggetto: « Ed ancora in questo tempo [cioè negli anni del David: 1501-1504] abbozzò e non finì due tondi di marmo, uno a Taddeo Taddei, oggi in casa sua, ed a Bartolomeo Pitti ne cominciò un altro; il quale da Fra Miniato Pitti di Monte Oliveto, intendente e raro nella cosmografia ed in molte scienze, e particolarmente nella pittura, fu donato a Luigi Guicciardini, che gli era grande amico: le quali opere furono tenute egregie e mirabili » [Vasari, VII, 157] (27).

Nel 1729, alla morte di Giovanni, ultimo di casa Taddei, il marmo passò ai Quaratesi, suoi cugini. Dai loro discendenti lo acquistò il pittore Wicar, portandolo a Roma, dove per mezzo del Canova fu comprato nel 1822 da Sir George Beaumont, un ricco amatore inglese. Costui, morendo nel 1827, lo aveva lasciato per testamento alla Reale Accademia di Londra, che lo accettò nel 1830 (28). La Madonna Taddei è scolpita in un tondo di marmo, dalla forma approssimativamente circolare e del diametro di m. 1,17.

Manca una parte dell’orlo nella zona inferiore destra del tondo. Maria è seduta a terra, con il busto rivolto di tre quarti verso lo spettatore, il dorso poggiato ad una roccia, e la testa girata di profilo a sinistra. Le sue gambe son ripiegate per non oltrepassare l’orlo del clipeo. E’ vestita d’una tunica con maniche a sbuffi, dalla scollatura squadrata, coperta di un manto sorretto da una cinghia nascosta sotto le pieghe, che passa in diagonale dall’omero sinistro sotto l’ascella destra. In capo ha un turbante ripiegato con arte, di cui un lembo sciolto fa da sfondo al delicato profilo. Con la mano destra, appena accennata, accarezza il viso del san Giovannino per trattenerne la infantile irruenza, mentre regge con l’altra una falda della cappa.

Il Figliuolo, scavalcando la gamba della Madre, si slancia verso destra, quasi fosse spaventato dall’uccellino starnazzante che il piccolo Battista gli presenta con mossa brusca, come per scherzo, ritto dalla parte sinistra del tondo, e riconoscibile dalla ciotola appesa al perizoma gettato sulla spalla (29).

Si distinguono qui — nettamente e tutti insieme — i gradi successivi del lavoro del marmo, eseguito sin dalla prima fase non da uno scalpellino, ma dallo stesso artista, che toglie il « soverchio » alla pietra, facendo affiorare l’immagine contemplata nella fantasia.

Questa platonica liberazione dell’Idea racchiusa nell’opaca materia, era per Michelangelo un aspetto vivo, seppure transitorio, del suo « non finito », che forse, nelle opere giovanili e in quelle dell’età matura, diremmo con maggior esattezza « non ancora finito ». Lo attesta il San Matteo emergente dalla roccia e soprattutto lo confermano i notissimi versi di un suo sonetto, commentato dal Varchi, che comincia:

«Non ha l’ottimo artista alcun concetto / C’un marmo solo in sé non circonscriva / Col suo superchio, e solo a quello arriva / La man che ubbidisce all’intelletto » [Girardi, n. 151] .

Nella Madonna Taddei par quasi di assistere a questo graduale scoprimento del « concetto », alla nascita dell’opera d’arte. II fondo del rilievo, la sua cornice appena sgrossata e la sommaria figura del Precursore, ci mostrano il primo abbozzo, fatto con lo scalpello e il mazzuolo, a furia di « levare » — come dice egli stesso in un’altra poesia — sicché la « viva figura . . . . . . .  là più cresce u’più la pietra scema » [Girardi, n. 152].

Nella testa della Vergine, sul suo esile collo, nel panneggio, e nelle estremità del Bambino, compare il prezioso lavoro di gradina (quasi una firma), condotto in maniera simile al tratteggio di certi suoi coevi disegni a penna, come — per citarne uno a caso — Apollo-Mercurio del Louvre [Dussler, n. 209]. Infine, nel torso del Figliuolo, la parte più elaborata della scultura, il marmo raggiunge una finitezza non inferiore a quella del David. L’autenticità del Tondo di Londra è stata negata dall’Arslan con argomenti non accettati dalla critica, e ristretta da altri, i quali credono di scorgere in alcuni particolari la mano di un allievo, mentre a ragione il Kriegbaum non vede nell’opera nessun appiglio per una simile ipotesi [Barocchi, II, 223-224; Kriegbaum, 41].

Le date proposte son tante, ma non documentate; per cui, volendo andar sicuri, conviene accontentarci di termini meno precisi, come per la Madonna di Bruges. Uno schizzo per quest’ultima si trova, come s’è visto, sul retto di un foglio del Museo Britannico, insieme con disegni riferibili alla Battaglia di Cascina. Sul verso sono tracciati oltre ad un autografo poetico [Girardi, n. 2], altri studi per il suddetto affresco, e due disegni a penna di bambinelli ignudi [Dussler, n. 162, e Wilde, n. 5 ].

Identici a questi, nello stile, sono altri otto schizzi di puttini sul verso di un’altra carta della medesima raccolta [Dussler, n. 169, e Wilde, n. 4], tanto da farli sicuramente ritenere contemporanei. Karl Frey riconobbe per primo trattarsi di studi preparatori per la figura del san Giovannino nel Tondo Taddei.

Valgono quindi anche per quest’ultimo i termini cronologici già stabiliti per la Madonna di Bruges: lo possiamo collocare a un dispresso fra il gennaio 1504 (o poco prima) e la primavera del 1505, cioè tra il tempo in cui Michelangelo ebbe l’incarico del dipinto destinato a Palazzo Vecchio, e la sua andata a Roma. Non v’è dubbio, comunque, che quando furono eseguiti i due disegni del Museo Britannico, erano ancora tutti allo stato di progetto: la Madonna di Bruges, il Tondo Taddei e l’affresco della Battaglia (30).

Questa scenetta idilliaca riflette una pausa di serenità nell’arte di Michelangelo. Poteva piacere, e infatti piacque, a Raffaello, il quale ebbe modo di vederla in casa Taddei, e ne ritrasse in un disegno (Louvre) il gruppo della Madre col Bambino, di cui riprese poi a rovescio la elegante mossa nella Madonna Bridgewater (Collezione Ellesmere, Londra), dipinta fra gli anni 1506 e 1507. Non pochi hanno rilevato in questa scultura la vicinanza di Leonardo da Vinci, con cui il Buonarroti era allora impegnato nel certame pittorico delle due Battaglie per la Sala del Gran Consiglio di Firenze.

Si tratta però di un genere d’influsso ben diverso da quello donatelliano della sua prima fase stilistica: di qualcosa d’indefinito, sensibile soprattutto « nel modo raffinato di concepire la intierezza dell’organismo estetico » (31). Con maggiore evidenza mi sembra di poter ravvisare un’eco leonardesca nel tenue sorriso della Madre: di tutte le Madonne scolpite da Michelangelo, questa del Tondo Taddei è la sola che sorride, sia pur lievemente e attraverso un velo di mestizia, come distratta per un istante dall’ignaro giuoco dei due fanciulli.

 


 

Note

 

28)

Cfr. Gotti, I, 32; Goldscheider, 11, Lightbown, art. cit., pp. 23-26, e particolarmente nota 6.

 

29)

Secondo il Friedman, l’uccellino sarebbe un «verdone», simbolo della Passione di Cristo (cit. in Goldscheider, 11), secondo altri un cardellino, ma non si vede come possa riconoscersi l’uno o l’altro in questo particolare appena abbozzato del rilievo.

 

30 )

Quando Claridge, tenitore d’aste in Curzon Street, a Londra, espose il rilievo (non per venderlo) nel 1828, affermò nel suo manifesto che la scultura ‘ portava la data 1504 ‘. Questa data, probabilmente scritta sul verso, e ora scomparsa» (Goldscheider, 11). Sul verso del foglio Dussler 169 si trova due volte la scritta coeva, in francese, «chosse de bruges», che secondo ogni verosimiglianza allude alla Madonna di Bruges.

 

31)

«Die Nähe Leonardos ist in dem feinen Gefühl für die Ganzheit des bildkünstlerischen Organismus spürbar» (H. von Einem, Michelangelo, Stuttgart, 1959, p. 38). C. de Tolnay, Michelangiolo, Firenze, 1951, p. 29, ricorda a questo proposito che nella primavera del 1501 Leonardo aveva esposto il cartone della sua Sant’Anna nel Convento della Santissima Annunziata, a Firenze.

 


 

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