ID 1313360359214776
La Madonna di Bruges, foto di Giorgio Avigdor

 

La Madonna di Bruges

 

da

La Madonna e il Bambino nella scultura di Michelangelo

di Deoclecio Redig de Campos

fotografie di Giorgio Avigdor

Ente Fiuggi SPA

 

 

Trascorsa una diecina d’anni, il Buonarroti torna al tema della sua giovanile opera prima, e scolpisce la Madonna di Bruges, detta così perché dal 1514 (o poco dopo) la si ammira e venera nella Chiesa di Nostra Signora in quella città fiamminga. In quest’arco di tempo si colloca un avvenimento di capitale importanza per la storia dell’arte, ossia il primo soggiorno di Michelangelo a Roma, fra l’estate del 1496 e quella del 1501.

Cinque anni d’immediato contatto con l’arte antica cui si devono il Bacco ebbro del Bargello (Firenze) e la Pietà di San Pietro, opere che di colpo gli diedero « gran fama e riputazione, talmente che già era in opinione del mondo che non solamente trapassasse di gran lunga qualunque altro del suo tempo e di quello avanti a lui, ma che contendesse ancora » — lode suprema — « con gli antichi » [Condivi, 71].

Siamo alle soglie della « seconda maniera », quella classica e senz’ombra di crisi, che troverà la sua più matura espressione plastica nelle statue della Cappella Medicea in San Lorenzo. All’inizio di questa nuova fase dell’arte sua appartiene la Madonna di Bruges. Le notizie contemporanee non sono numerose, ma forniscono alcuni dati precisi.

La prima è una lettera del 4 agosto 1506, in cui Giovanni Balducci, da Roma, avvisa Michelangelo in Firenze della possibilità di mandare il marmo, per mezzo di Francesco del Pugliese, a Viareggio e quindi in Fiandra, « cioè a Bruggia, a rede di Giovanni e Alessandro Moscheroni e comp., come cosa loro » [Gotti, I I , 51] (18).

Il 23 novembre 1514 Tan Moscroen riceve dal Capitolo della chiesa di Nostra Donna a Bruges il permesso di collocarvi, in memoria di suo padre Alexander, di sua madre e dei suoi amici ivi sepolti, un altare coperto da baldacchino con una «eccellente statua di Maria, molto ricca e preziosa»  (19). Segue, il 7 aprile 1521, un ricordo nel diario di viaggio del Dürer, nei Paesi Bassi, il quale vide nella Chiesa di Nostra Donna a Bruges «la figura di Maria in alabastro, fatta da Michelangelo di Roma» (20).

Nel 1553, il Condivi scrive:

«Gittò anco di bronzo una Madonna col suo figliuolino in grembo, la quale da certi mercanti fiandresi de’ Moscheroni, famiglia nobilissima in casa sua, pagatagli ducati cento, fu mandata in Fiandra» [Condivi, 78-79].

Lo segue il Vasari nella seconda stampa delle Vite, peggiorando l’errore della sua fonte: « Fece ancora di bronzo una Nostra Donna in un tondo, che lo gettò di bronzo a requisizione di certi mercanti fiandresi de’ Moscheroni, persone nobilissime  ne’  paesi  loro,  che  pagatogli  scudi  cento,  la mandassero  in Fiandra »   [Vasari, VII, 158] (21).

Vi è ancora un altro documento riferito da molti alla Madonna di Bruges, ed è la lettera di Michelangelo scritta da Roma al padre in Firenze, datata del 31 gennaio 1506, in cui gli raccomanda di far portare in casa e di non mostrare a nessuno « quella Nostra Donna di marmo » [Milanesi, 7].

Sarebbe la testimonianza più antica, ma la data è discussa ed è incerto il riferimento all’opera. Il Milanesi, infatti, assumendo «dalle cose dette in questa lettera» che il Buonarroti abbia qui seguito, «contro il suo costume, il computo romano piuttosto che il fiorentino» [ibid., p. 7, nota 3], la sposta di un anno al 31 gennaio 1507, data alla quale la scultura doveva da tempo essere giunta in Fiandra, e crede si tratti della Madonna della Scala (22). Io sarei piuttosto favorevole alla sua ipotesi, considerando anche un altro brano della medesima lettera in cui Michelangelo dice al padre di non mandargli i danari per il trasporto « perché stimo sia piccola cosa».

Ciò non può certamente dirsi di un pesante marmo, come quello venduto ai Moscheroni, mentre sarebbe esatto se fosse riferito al piccolo bassorilievo, immaturo saggio giovanile, che l’artista, ormai famoso, non desiderava far conoscere (23). Nel gruppo marmoreo della Madonna di Bruges, la Vergine siede diritta e solenne su una roccia; con la mano sinistra trattiene il figliuolo ignudo e già grandicello in piedi fra le ginocchia, mentre nell’altra regge un libro chiuso.

La veste, dalle lunghe maniche, è chiusa sul petto da un fermaglio rettangolare, e viene in parte coperta da un pesante manto, fissato sulla spalla sinistra da una fibbia tonda. In capo ha uno spesso velo, le cui pieghe si sovrappongono come nella Pietà di San Pietro. Il piede destro poggia a terra, il sinistro, alquanto rialzato, riposa su una sporgenza della roccia.

Nasce così un soave moto ascendente in diagonale, seguito dal Bambino e accentuato dal drappeggio, che addolcisce la severa rigidità del contegno, nota dominante, derivata dalla bizantina Platytera, attraverso la Madonna in trono di Donatello nella Basilica del Santo a Padova. Alto m. 1,28, il gruppo è stato concepito per essere visto di fronte e dal basso, come se fosse destinato a venir esposto in una nicchia elevata. Le pieghe della parte posteriore furono infatti modellate in un modo più sommario, forse da un aiuto, quale Baccio da Montelupo [Goldscheider, 11] (24).

A giudicar dallo stile, la Madonna di Bruges è sorella minore della Madre dolorosa nella Pietà di San Pietro. Si somigliano in modo straordinario nei tratti del volto, ed esprimono ambedue lo stesso muto e rassegnato sgomento dinnanzi al dolore atteso o attuale.

La prima appare tuttavia più recente per una maggiore semplicità, e perché Michelangelo vi mostra d’aver saputo raffrenare e meglio ordinare la sua tendenza a ricercare le difficoltà nel lavoro del marmo, per risolverle poi con mirabile, ma pericoloso virtuosismo (25).

Sorprende inoltre, nella statica figura di Maria, l’assenza di quei contrappunti di forme e di volumi cioè di una costante del suo linguaggio formale evidentissima nel Bacco e nella Pietà romana (26), — ma che qui si manifesta solo attenuata, nel lento moto a spirale del fanciullo. Sotto quest’aspetto, la Madonna di Bruges può ben dirsi un unicum nell’arte sua.

Per quanto riguarda l’autenticità dell’opera, il solo Pieraccini (autore di una Guida della Tribuna del David, stampata a Prato nel 1883) la pone in dubbio, ma ovviamente senza trovare alcun seguito [Goldscheider, 11]. Circa la data, le opinioni son molte, le certezze poche. Un indizio, comunque, si ricava da un foglio del Museo Britannico [Dussler, n. 162r, e Wilde, 5r], con studi preparatori per la Battaglia di Cascina e un rapido schizzo della nostra Madonna.

Le due opere furono quindi, per un certo tempo, condotte insieme, e possono pertanto datarsi in modo approssimativo tra l’inizio del 1504, quando si crede che quell’affresco fosse allogato a Michelangelo, e la sua partenza per Roma nella primavera del 1505.

 


 

Note

 

18)

Moscheroni è la forma italianizzata di Moscroen (questa è la grafia fiamminga più antica), ricca famiglia di mercanti stabilitasi a Bruges nel sec. XV, notizia di cui ringrazio vivamente il signor Carlos Wyffels, Archivista Generale del Regno del Belgio. I due fratelli erano, a quanto pare, amici del Balducci, uomo d’affari di Michelangelo, e forse intermediario nella vendita della statua (cfr. Gotti, I, 33-34, e Barocchi, II, 238-239).

19)

Cfr. L. Devliegher, Kunstpatrimonium van West – Vlaanderen, I, Beeld van het Kunsbezit, Tielt – Den Haag, 1965, p. 49.

20)

«Darnach sahe ich das alabaster Marienbild zu unser Frauen, das Michael Angelo von Rohm gemacht hat» (K. Lange – F. Fuhse, A. Dürers schriftlicher Nachlass, Halle, 1893, p. 156). F. Kriegbaum, 1940, 41, cita una versione differente, ma non ne indica la fonte: «das Marienbild in Marmelstein von Michelangelo». La ultima edizione critica degli scritti del Dürer è quella curata da H. Rupprich, Dürer, Schriftlicher Nachlass, Berlin, 1956.

21)

Barocchi, II, 238, segnala un passo dello storico van Waernewyck (1560), il quale indica in 4.000 fiorini il prezzo pagato a Michelangelo per la Madonna di Bruges.

22)

Tanto nella datazione della lettera, quanto nel riferirla alla Madonna della Scala, il Milanesi è seguito da numerosi autori (cfr. Il Carteggio di Michelangelo, edizione postuma di Giovanni Poggi a cura di Paola Barocchi e Renzo Ristori, vol. I, Firenze, 1965, p. 11, nota bibliografica).

23)

E’ ben nota la ritrosia di Michelangelo a rivelare da quanta fatica nascessero le sue creazioni, ed a mostrare certe opere che non lo soddisfacevano appieno, o di cui riteneva non potessero allora venir comprese, come ad esempio le ultime Pietà. Si sa pure che in vecchiaia distrusse i cartoni dei suoi affreschi, con molti disegni preparatori. E preparatoria deve considerarsi, in un certo senso, anche la Madonna della Scala.

24)

Commentando quest’aspetto della Madonna di Bruges, il Grassi dice bene che «la iconica frontalità dei venerandi esemplari si traduce nell’accentuazione tutta michelangiolesca di una veduta principale, ma non esclusiva». (Grassi, op. cit., p. 92). Quanto alla collocazione del gruppo in una nicchia e ad una certa altezza, R. Valentiner, Michelangelo’s Statuettes of the Piccolomini Altar in Siena, «Art Quarterly», V (1942), pp. 3-44, seguito da altri, lo crede destinato in un primo tempo all’altare Piccolomini del Duomo di Siena, per il quale Michelangelo lavorò cinque statue. E. Carli, Michelangelo e Siena, Roma, 1964, pp. 11-12, combatte questa ipotesi, recentemente riproposta da H. von Einem, Michelangelo, Bildhauer Maler Baumeister, Berlin, 1973, pp. 31-33. Su quest’impresa si veda l’accuratissimo studio di F. Kriegbaum, Le statue di Michelangelo nell’altare dei Piccolomini a Siena, in Michelangiolo Buonarroti, nel IV Centenario del «Giudizio Universale», Firenze, 1942, pp. 86-112.

25)

In altri, difatti, il mancato dominio dell’arte sul mestiere porterà al Manierismo, nel senso meno lodevole di questo termine, che la recente critica ha arricchito di tanti e così complessi significati.

26)

Questo peculiare carattere stilistico della Pietà di San Pietro è stato restituito alla sua forza originaria da quando il gruppo poggia di nuovo con giusta inclinazione, sulla base voluta da Michelangelo, ma alterata nel Settecento per attenuarne la drammaticità, seguendo il gusto d’allora. Cfr. D. Redig de Campos, La Pietà giovanile di Michelangelo, Milano, 1964, e, dello stesso, Un nuovo aspetto della «Pietà» di Michelangelo in San Pietro, in «Capitolium», XXXVI II (1963), pp. 189-191.

 


 

Di admin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *