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Una predella di Masolino nel Museo Ingres a Montauban

 

di B. Berenson

 

da: Dedalo, Marzo 1923

 

 

 

Un pomeriggio dello scorso maggio il signor Riccardo Offner ed io ci trovavamo per caso a contemplare tra il colonnato di San Martino alle Palme il paesaggio che si stendeva ai nostri piedi.

E malgrado la bellezza della natura per soavità, grazia e ritmo rivaleggi quivi con le più nobili vedute della Campania e della Calabria ionia, il comune interesse pei nostri studi ci fece volgere ad essi il discorso.

Così il mio compagno mi rivelò che in una chiesa lì sottostante egli aveva visto una pittura che gli era sembrata un Masolino.

– Dove? domandai ansioso.

– Laggiù nella Pieve di San Giuliano a Settimo.

– E che cosa rappresenta?

– La figura in piedi d’un santo.

– Niente altro?

– No. Niente altro.

Ma non può essere stata così sola. Deve aver fatto parte di un polittico. Quando il resto andò disperso, quel pannello deve esser stato conservato perché raffigura il santo patrono della chiesa.

Deve esser quindi San Giuliano. E se San Giuliano è di mano di Masolino, – continuai, – allora lei ha trovato quello che sono andato cercando dal settembre passato in poi quando mi imbattei in una predella rappresentante San Giuliano che uccide i suoi genitori.

Ben presto il signor Offner mi condusse a San Giuliano e mi mostrò la pittura. Egli aveva perfettamente ragione: era un Masolino. Egli pubblica qui la sua importante scoperta, ed io mi tengo al mio più umile argomento.

La predella che trovai nel settembre 1920 a Montauban era appartenuta ad Ingres, e forma ora parte della collezione da lui lasciata alla sua città natale. Ch’egli l’abbia cercata e amata, è un titolo d’onore tanto per il piccolo pannello quanto per il gusto di quel supremo maestro del contorno.

La composizione ci mostra a destra il giovine cavaliere mentre nell’avvicinarsi al suo palazzo viene fermato da uno snello e leggiadro familiare, uomo o donna non si capisce bene, che gli muove incontro agitato, per dirgli che dentro troverà sua moglie a giacere con un altro uomo.

Ma l’adolescente dal bel viso, dalla figura slanciata e dalla mossa aggraziata ha invece di piedi degli artigli, e noi indoviniamo così per quale scopo egli fosse stato inviato a quel Cavaliere ingenuo quanto Parsifal.

La scena seguente mostra il Cavaliere nella camera nuziale in atto di colpire con la sua spada uno della coppia che sta nel letto. E quello che accadde lo sappiamo da due grandi scrittori, Jacopo da Voragine e Gustave Flaubert.

Giuliano reso folle dal diavolo irrompe nella stanza, vede confusamente due corpi che giacciono e li trafigge. Erano i suoi genitori venuti da lontano, che sua moglie, per onorarli, aveva ospitati nella propria camera.

Vi è appena da osservare che nel raffigurare questo racconto, l’artista non ha assunto il tono tragico richiesto dal soggetto.

Egli l’ha trattato piuttosto in una maniera spiccia e puerile, quasi si trattasse di qualche piacevole leggenda cavalleresca dove tutto sia destinato a finir bene.

E la sua perizia nel rendere l’azione, che gli ha permesso di raffigurare il grazioso diavolo così vibrante ed elegante, gli venne a mancare proprio quando sarebbe stato necessario di esser terribile.

L’assassino potrebbe essere San Martino che divide il suo mantello con il mendicante. Il colorito è gaio, chiaro, prevalentemente roseo, delicato.

Quanto alla questione dell’autore di questa predella, il dimostrare, a chi conosca seriamente l’arte fiorentina, che si tratta di Masolino, sarebbe come voler spiegare per mezzo dell’algebra che ore sono.

E’ ovvio in ogni particolare. E se a qualcuno ciò non sia pienamente palese, dia uno sguardo alle illustrazioni del definitivo volume del professor Toesca sul maestro, e le sue esitazioni cesseranno.

La cronologia di Masolino è ancora relativamente oscura, e io esito ad assegnare al pannello una data precisa. Sarei tuttavia incline a porlo, all’incirca, tra il 1425 e il 1430.

E vedo con piacere che anche il signor Offner è giunto a conclusioni non troppo dissimili.

Chi ha notato negli affreschi di Masolino a Castiglion d’Olona il fascino che ha per lui la prospettiva (anch’egli avrebbe potuto svegliare sua moglie come Paolo Uccello soleva, col grido: “O che dolce cosa è questa prospettiva!”), non mancheranno d’osservare anche qui quanta attenzione egli abbia posta nel muro sfuggente della casa, e come il deperimento della pittura abbia scoperto le linee tirate di là dal termine dell’edificio verso l’orizzonte.

Persino il letto è stato trattato come un problema della stessa « dolce cosa ».

BERNARD BERENSON

 


 

Un pannello di Masolino a San Giuliano a Settimo

 

di R. Offner

 

 

Questa figura di San Giuliano rivela al primo sguardo, la sua identità estetica tanto alto è il grado delle sue peculiari qualità. Esso è una figura di gentiluomo di razza principesca ma aggraziata, giunto all’età matura, per quanto le sue energie non sieno ancora completamente assestate o placate.

Siamo persuasi del suo cosciente attaccamento alla vita; eppure egli sembra riluttante a guardarla in faccia. Egli certo ha vissuto nelle grandi città dove il suo cuore deve essersi come contratto, non al punto tuttavia da divenire cinico o crudele; e dove il suo acume nativo ha conosciuto ogni sfumatura della vita morale.

Perciò egli ha accettato con rassegnazione la sua parte di spettatore nel conflitto fra le sue passioni e il suo orgoglio, e ha imparato in dure esperienze il valore delle rinuncie.

Egli non è incapace di azione sotto la spinta o la pressione di un dovere morale, eppure il movimento distratto e lo sguardo assorto sembrano manifestare l’ossessione di qualche spettrale e spaventoso ricordo: senza dubbio il fatto determinante della sua vita, il suo duplice parricidio.

Egli s’arresta e si volge a guardare indietro un istante, come se la sua mente fosse costretta a rievocare l’orrendo spettacolo; e ciò con una certa esitanza nostalgica e meditativa quale avrebbe potuto rendere Giorgione.

Tutto quello che indoviniamo dalla sua fine apparenza, dalle sue fragili spalle, dal suo gentile portamento, si legge nei suoi malinconici occhi, e modella la piccola bocca quasi ostinata. Un contorno fermo e una sensitiva modulazione di superfici seguono la forma della lunga stretta testa, ingentilita da un lungo raffinamento di gran razza.

Inclinata su un collo sottile, incorniciata da una signorile capellatura bionda, sembra piegare sotto il peso di un dolore inconsolabile. V’è una intimità nella sua espressione, un invito a penetrare il suo segreto, unici a quel tempo, e più propri allo stato d’animo dei primi cinquecentisti, come Del Sarto o Giorgione.

Il calligrafico snodarsi del cartiglio, l’inseguirsi intorno alla testa dei circoli della spiegata aureola sono come l’irradiazione della sua bellezza, il refluire dei suoi sogni nel più puro elemento della decorazione astratta. Il nostro santo è un sogno da Prerafaeliti inglesi, è l’Amleto della cavalleria fiorentina.

Il movimento della figura si svolge verso l’alto lungo una linea inclinata; e il ritrarsi indietro del lato sinistro, l’avanzare esitante del braccio destro, il volger della testa, sono in essa assorbiti, determi- nando il contenuto spaziale della figura.

Tuttavia non è come forma plastica, ma come schema architettonico che ci rendiamo conto di quella. Essa, sino quasi alla metà della sua altezza, si leva fra parallele verticali, che poi convergono simmetricamente per formare una specie di galba rotonda al pinnacolo della testa.

I diritti contorni esterni limitano nettamente la figura e la costruiscono in tre bene articolate zone, come una facciata di edificio. La spada e le pieghe rigide rinforzano tutta la struttura, mentre ogni linea conduce l’interesse del riguardante verso la sommità.

Le componenti statiche e dinamiche della forma essendo in tal modo assorbite dalla predominante architettura, la figura è condotta dall’espressione verso l’astrazione: il rilievo, che tende a liberarsi dallo sfondo, si appiattisce; la forma, come diversa apparenza d’una sola identità, si scioglie nel ritmo; il movimento si sottomette ad un disegno bilanciato; il soggetto evapora nel simbolo.

Quando il dipinto era completo certo la figura si alleava alle altre figure; come qui si riconcilia con il pannello piatto e coi suoi limiti geometrici. La testa invece, come il più penetrante elemento d’espressione, con la sua particolareggiata psicologia e col suo contorno ondulato, si distacca e si isola dal resto; mentre l’assoluto geometrico dell’aureola giova a fissare l’accento dominante su tutta la superficie.

Il nostro santo appartiene alla famiglia delle grandi figure isolate fiorentine, con affinità maggiore però alla “Fortezza” di Botticelli che al “San Giorgio” di Donatello o al “Pippo Spano” del Castagno. Poichè l’arte di Masolino più che un’arte d’immediate realizzazioni formali è un’arte di evocazione come la musica, che tende sempre dallo statico e dal visibile verso il melodico e il suggestivo.

E ciò risulta specialmente dall’assorbente continuità degli eventi rappresentati, a Castiglion d’Olona soprattutto, perchè Masolino è piuttosto un pittore narrativo che monumentale; e persino le sue figure isolate, come questo “San Giuliano”, cercano di narrarci la loro storia.

Egli è il supremo raccontatore del primo Quattrocento. Abbiamo solo da osservare la predella acutamente riconosciuta da Bernard Berenson, per vedere come egli sia intensamente immaginativo nel narrarci la sua storia, non a modo di Donatello cogliendo il momento della finale collisione delle forze; non al modo di Masaccio, con un senso di solennità fatale; ma quasi si tratti di alcunchè di ricordato e di remoto, per quanto, come tutti i lucidi ricordi, intessuto di magiche sorprese di una strana acutezza.

E come un brano di leggenda, nella quale le azioni umane, sebbene conseguenti, si sono lasciate dietro un mondo di grandi responsabilità, di conflitti morali, o di crisi tremende.

Negli ultimi decenni il dipinto era rimasto ignorato (1) rispettosamente, nella stanza da letto del pievano di San Giuliano a Settimo, al riparo così dalle violenze del clima come da quelle del caso, cui sarebbe stato sicuramente esposto rimanendo in chiesa; un poco guasto e sporco, ma quasi immune da ritocchi, un po’ annerito dal fumo delle candele, specialmente nelle ombre, dove la superficie, tutta percorsa da sottili spaccature, ha perduto la sua profondità e s’è fatta scabra.

Masolino sembra aver dipinto sempre con magri impasti, e in questo caso il tempo ha consumato il colore sino a  renderlo trasparente,  così che le tinte più calde dell’abito rosso-arancio,  del  mantello “magenta”, della bordatura di pelliccia bruna, della rossa spada e delle rosse calzature, risultano arricchite e armonizzate nel loro stato attuale dall’oro sottostante.

 

 

Le proporzioni del “San Giuliano” sono minori del vero (m. 1,135 x 0,535). Tagliato fin dall’origine per sovrapporvi una cornice cuspidata, costituiva senza dubbio l’ala sinistra di un trittico. (2)

Ma è il nostro pannello di mano di Masolino? E in tal caso in qual momento della evoluzione di lui fu dipinto? Chiarendo il secondo punto si sarà più che provato il primo.

Il nostro cavaliere è della stessa razza dei due cavalieri che traversano la scena della “ Resurrezione di Tabita” nella Cappella Brancacci; e la purificata bellezza del suo portamento non può nascondere le sue affinità stilistiche, per dare solo un esempio, con la testa coperta dal turbante in quella medesima scena.

Infatti la naturalezza dell’ atteggiamento, la maturità dell’espressione, la sua stessa generalizzazione, fanno pensare subito a quel periodo, quando l’influenza di Masaccio sul suo maestro non aveva ancora cessato dall’essere essenzialmente attiva.

La studiata prospettiva della predella già suggerisce gli affreschi del battistero di Castiglion d’Olona, quantunque la differenza delle proporzioni e del grado di franchezza tecnica, possano condurre ogni congettura cronologica agli anni precedenti la esecuzione di quel ciclo.

Il romanticismo del sentimento, tanto nella figura quanto nella predella, si avvicina allo spirito delle storie di Castiglione e del “Miracolo della Neve” di Napoli, ambedue tardi lavori (3), e fra i più romantici quadri fiorentini prima dell’apparizione di Botticelli.

Per trovare più specifiche basi di una determinazione cronologica, bisogna appunto prendere in considerazione la pittura or ora nominata. Il nostro santo è concepito fondamentalmente come quello che, dei due cavalieri di Napoli ritti nel secondo piano, più sta vicino al centro. L’atteggiamento, l’abito, i capelli sono singolarmente rassomiglianti anche se la dignità della nostra figura degeneri, nel pannello di Napoli, in una raffinatezza quasi fatua.

Ancora: il vestito del personaggio alla estrema destra, tagliato dalla cornice, è di foggia contemporanea a quella del San Giuliano.

Assumendo per vera, secondo la maggioranza delle opinioni fin qui pubblicate, la data relativamente tardiva di questa pittura di Napoli (circa 1430), l’evidente affinità di trattamento del nostro pannello con le teste di San Clemente a Roma, molto probabilmente quasi coeve, aggiunge probabilità alla congettura che il “San Giuliano” sia stato dipinto né molto prima, né molto dopo quell’anno.

La predella offre almeno un esempio di rassomiglianza con l’estatica “Assunzione “; del pannello di Napoli: il profilo della servente è del tipo di alcuni degli angeli nella gloria intorno alla Vergine; e la stessa testa rammenta ancor più fortemente l’angelo alla sinistra di “Nostra Signora” nell’affresco di San Fortunato a Todi (datato, secondo i pagamenti, 1432) (4); e l’angelo annunziante in San Clemente, che appartengono ambedue al periodo dei pannelli napoletani.

Questi dipinti si rivelano dello stesso periodo anche per il sentimento e l’interesse della prospettiva. In essi gli angoli delle linee e i piani determinano la posizione in cui lo spettatore deve porsi per osservarli: nel pannello di Montauban di fronte alle due figure di destra, negli affreschi di Todi e di Roma al disotto del livello della composizione; e tutta la composizione è disposta a questo fine.

Ma nel chiudere non vorrei si credesse ch’ io sia proprio persuaso della assolutezza conclusiva di queste prove. Differenze cronologiche involvono diversità estetiche,  e non saremo in grado di porle con piena sicurezza sino a quando non avremo imparato a seguire i movimenti più fuggevoli del procedimento estetico. Gli occhi intelligenti vedranno allora senza prove.

RICHARD OFFNER

 

______________

(1) GUIDO CAROCCI (I dintorni di Firenze, II, 429), ne parla come di una opera della fine del sec. XIV.

(2) Giuliano, il santo titolare della chiesa dove il pannello è stato ritrovato, stava alla sinistra del pannello centrale; e poichè il bordo a destra segna il limite del pavimento, non poteva esservi altra figura da quel lato della pala.

(3) Vedi PIETRO TOESCA, Masolino da Panicale, p. 67 e seg.

(4) Pubblicato da UMBERTO GNOLI nel Bollettino d’Arte p. 176.

 


 

Dobbiamo dare ai lettori una lieta e dolorosa notizia insieme. Il prof. Pietro Toesca aveva fin dal settembre scorso rintracciata la parte centrale del polittico di San Giuliano, raffigurante la Vergine e il figlio, nella chiesa di Santa Maria a Novoli presso Firenze. Una cosa superba. Ignoti ladri hanno rubato il dipinto il 31 Gennaio passato.

N. d. R.

 


 

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