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La Madonna Mediacea, foto di Giorgio Avigdor

 

La Madonna Medicea

 

da

La Madonna e il Bambino nella scultura di Michelangelo

di Deoclecio Redig de Campos

fotografie di Giorgio Avigdor

Ente Fiuggi SPA

 

 

Nella Madonna col Bambino della Cappella Medicea, Michelangelo riprende per l’ultima volta il tema iconografico della maternità divina e umana di Maria, portandovi a maturità il frutto delle precedenti esperienze.

Diversamente, però dalle altre quattro sculture di cui s’è detto finora, questa non è stata concepita come opera d’arte a sé stante, ma per essere posta di fronte all’altare nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo, incominciata a costruire dal Buonarroti nel 1521, quale Pantheon di Casa Medici.

Senza dilungarci a narrare le complesse vicende di questa sua prima opera architettonica e della sua decorazione scultorea, conviene tuttavia ricordare che l’edificio a pianta quadrata, coperto a cupola, con elementi strutturali in pietra serena su fondo bianco – di uno stile inconfondibilmente fiorentino – è ispirato alla Sagrestia Vecchia, costruita nella stessa basilica da Filippo Brunelleschi (36).

Entrando nel sacello, si vede a sinistra il sepolcro di Lorenzo, duca d’Urbino, con la statua del defunto (il Pensieroso) seduto entro una nicchia, in alto, e le figure dell‘Aurora e del Crepuscolo, ignude, adagiate sul sarcofago ai suoi piedi.

In modo identico son collocati sulla parete opposta la statua di Giuliano, duca di Nemours, con le allegorie del Giorno e della Notte. La campata di faccia all’ingresso fa da sfondo al piccolo altare, volto versus populum, mentre nell’altra un semplice cassone di marmo racchiude le salme del Magnifico Lorenzo e di Giuliano, suo fratello, di cui il monumento non fu mai eseguito.

Su questa sorta di podio venne collocata molto più tardi — e forse dal Vasari — la Madonna Medicea, fra le statue dei Santi Cosma e Damiano, mediocrissime cose del Montorsoli e di Raffaello da Montelupo, fatte su modelli michelangioleschi.

Negli Uffizi si conserva la copia di un disegno perduto del Buonarroti per il terzo sepolcro, rimasto allo stato di progetto [Kriegbaum, tav. 94]. La struttura architettonica è simile a quella degli altri, e la Vergine vi sarebbe stata posta nella nicchia centrale.

In questo mausoleo bianco e grigio, bagnati in un freddo chiarore, i duchi morti e i simulacri del Tempo che li ha spenti, sembrerebbero marmoree larve d’un oltretomba pagano, rassegnate al Fato e senza speranza alcuna, se la Madonna col Figlio, unico elemento cristiano della Cappella, non desse loro una coloritura diversa.

Il Vasari, in ambedue le edizioni delle sue Vite, descrive con esatta brevità:

«la Nostra Donna, la quale nella sua attitudine sedendo manda la gamba ritta addosso alla manca, con posar ginocchio sopra ginocchio; ed il putto, inforcando le cosce in su quella che è più alta, si storce con attitudine bellissima inverso la madre, chiedendo il latte; ed ella con tenerlo con una mano, e con l’altra apogiandosi, si piega per dargliene: et ancora che non siano finite le parti sue, si conosce nell’essere rimasta abozzata e gradinata, nella imperfezione della bozza, la perfezione dell’opera» [Vasari, VII, 195 ] (37).

La Madonna dei Medici, scolpita in un sol blocco di marmo alto m. 2,27, appare seduta su un dado di pietra rialzato da una pedana posta a sua volta sopra la base. Codesti accorgimenti le conferiscono un cadenzato slancio verso l’alto di straordinaria eleganza, rafforzato dalla piccolezza del capo e dalla compattezza della figura (con le braccia aderenti al corpo).

Il moto ascendente è appena frenato da pochi elementi orizzontali, quali la doppia cinghia stretta sotto il petto ed alla vita, la gamba sinistra del Bambino, e le larghe spalle della Madre.

Trionfa qui il «contrapposto serpentinato» del Buonarroti: ogni mossa di linea o di volume ne incontra un’altra che, contrastandola, ne esalta il vigore, e con ciò stesso acquista forza nuova. Certamente voluto è anche il graduale trapasso dallo stupendo groviglio dei panni, attraverso la zona meno tormentata del fanciullino, alla composta mestizia della testa di Maria, di cui il velo, posto un po’ di sghembo, accentua la inclinazione, scoprendo parte della folta chioma. I suoi grandi occhi, anche qui, guardano senza veder nulla.

La più antica notizia di questa scultura si legge in un atto notarile del 23 aprile 1521, con cui due scarpellini carraresi danno ricevuta a Michelangelo di cinquanta ducati d’oro, per arra della lavorazione di certi marmi, dai quali si obbligano a cavare, fra l’altro, «una figura di Nostra Donna a sedere secondo è disegnata, et più altre figure secondo dicte misure» [Milanesi, 698] (38).

Si può quindi presumere che il Buonarroti cominciasse a scolpire la statua nei mesi estivi del 1521. Vi lavorò attorno in modo saltuario sino alla definitiva partenza per Roma nel 1534, lasciandola incompiuta.

Non si conoscono disegni suoi eseguiti direttamente per quest’opera, ma il particolare tipo di  Madonna  lactans,  seduta  con  le  gambe  accavallate  ed  il  Bambino  che  «si storce» [Vasari, VII, 195] verso la Madre, appare già in due schizzi del Louvre [Dussler, n. 354] e dell’Albertina [ ibid., n. 360 ], ambedue di molto anteriori all’incarico della Sagrestia Nuova, datogli nel 1520.

Per la Madonna Medicea Michelangelo riprende quindi un tipo già elaborato prima, senza un preciso scopo, attuandolo nel marmo. La già ricordata copia di un suo disegno degli Uffizi [Kriegbaum, tav. 94] ci mostra d’altronde che, in un primo tempo, egli intendeva ripetere nella Sagrestia Nuova il tipo della Nostra Donna di Bruges, col libro in mano e il Figlio tra le ginocchia.

Per concludere questi appunti sulla Madonna Medicea – e con essi il nostro studio – vorremmo ancora aggiungere due parole intorno al suo carattere di opera «non finita», seppure giunta ad una sua piena validità estetica, cosa già osservata dai contemporanei, come il Vasari [VII, 195] ed altri (39).

La parte inferiore del marmo: la base, la pedana, il piede della Vergine (probabilmente immaginato scalzo), sono rimasti allo stato di abbozzo; poco più innanzi son condotte la mano sinistra della Madonna, quelle del Bambino e la sua testa.

Per contro, il restante delle due figure appare spinto fino all’ultimo stadio del lavoro di gradina — e forse oltre alle pure esigenze pratiche di questa fase preparatoria — da una mano attentissima a sfruttarne intanto ogni possibilità espressiva, suggerendo la forma nascente.

La quale, portata al suo logico compimento, avrebbe senz’alcun dubbio dovuto adeguarsi allo stile delle altre statue già portate a termine del comune complesso monumentale, cioè alla fattura levigata e quasi cesellata dei Duchi, dell’Aurora e della Notte (40).

E’ pertanto da escludersi che il Buonarroti abbia voluto lasciare la Madonna Medicea in questo stato perché fosse soddisfatto, come affermano taluni, applicando abusivamente criteri moderni alla esegesi di un opera d’arte cinquecentesca.

Non l’ha finita perché gliene mancò il tempo, mentre un Rodin non avrebbe mai potuto «finire» i  Bourgeois de Calais (40). Questo mi sembra fuor d’ogni ragionevole discussione, per motivi storici, psicologici ed artistici.

E’ tuttavia probabile, se non certo, che Michelangelo, indugiando con così evidente compiacenza nella fase preliminare della gradinatura, avvertisse in modo più o meno cosciente le risorse estetiche del «non finito».

Questo, infatti, si arricchisce di tutte le possibilità formali che il blocco contiene in potenza (i molti « concetti » circoscritti nel marmo), di cui poi, nell’opera finita, una sola emerge.

Ma tale sua ricchezza non poteva indurre il Buonarroti – uomo anche del suo secolo – a promuovere alla categoria di stile definitivo una forma provvisoria, quale era allora considerata l’abbozzatura. Unica eccezione: la Pietà Rondanini, impossibile a finirsi, ed alla quale pur andava scalpellando fino alla vigilia della morte, sulla soglia dei novant’anni.

Allora il «non finito» gli dovette sembrare il solo linguaggio atto a non a dire, ma a balbettare, fra sé e Dio, cose ineffabili. Ma era una scultura arcana, che nascondeva a tutti, fuori del tempo suo e d’ogni tempo.

 


 

Note

 

36)

Contrasta volutamente con questa ortodossia architettonica un po’ arcaizzante, la incredibile libertà e fantasia creatrice con cui Michelangelo fa uso, nelle tombe dei duchi, degli elementi strutturali e decorativi dell’architettura classica.

37)

Molto a proposito B. Varchi Due Lezzioni… etc., Fiorenza, 1549, p. 117, discorrendo del Bambino della Madonna Medicea, cita la terzina di Dante: «Non è fantin che sì subito rua / Col volto verso il latte, se si svegli / Molto tardato dall’usanza sua» (Par., XXX, 82-84). Sull’origine classica del motivo iconografico delle gambe accavallate ha scritto ultimamente H. von Einem, Die Medicimadonna Michelangelos, in «Reihnisch – West-fälische Akademie der Wissenschaften», Vorträge, G. 190, Opladen, 1973, pp. 7-31.

38)

Uno di codesti disegni per scarpellini, con le misure delle distanze fra le sporgenze principali esattamente segnate e misurate, si conserva nella raccolta del British Museum, e si riferisce a una statua di Fiume per le tombe medicee, mostrata in due diverse vedute (Düssler, n. 154).

39)

Sul problema del «non finito» in Michelangelo, si veda l’abbondante bibliografia elencata dalla Barocchi (V, 190-191). Da aggiungere C. de Tolnay, The Art and Thought of Michelangelo, cap. IV (Michelangelo’s Artistic Convictions), New York, 1964; P. Sanpaolesi, art, cit., e A. Prandi, Il problema del «non finito», Bari, 1966.

40)

Del tutto ingiustificata appare la tesi del Burckhardt, il quale suppone che Michelangelo abbia lasciata incompiuta la Madonna Medicea per un difetto del marmo, o per averlo guasto con qualche colpo sbagliato di mazzuolo (cfr. Barocchi, III, 963)! Non meno arbitraria è l’opinione del Wilson, che vede la mano del maestro solo nel corpo del Bambino e nel volto della Madre, mentre tutto il rimanente sarebbe opera dei suoi aiuti (loc. cit.).

 


 

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