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IL RESTAURO DELLA RESURREZIONE

La Resurrezione era in avanzato stato di degrado non solo a causa del passare del tempo, ma anche a causa di inadeguati interventi pregressi e non documentati sull’opera; sulla pittura, infatti, sono stati rilevati interventi ottocenteschi, ad esempio, mirati a migliorare temporaneamente la leggibilità di un’opera offuscata da secoli di incuria e legati alla sua notorietà e all’essere meta e oggetto di studio da parte di artisti e intellettuali.

Oltre a numerose tracce di prove di pulitura, sono stati trovati ben tre strati di fissativi di restauro soprammessi, cioè tre stesure di materiali risalenti verosimilmente a tre restauri antichi, stesi per assicurare, nelle intenzioni dell’epoca, una solidità e una maggior garanzia di stabilità all’opera. Uno di questi strati era addirittura pigmentato, cioè colorato con una intonazione marrone, verosimilmente per attenuare l’effetto dei danni da eccessiva pulitura causati dallo stesso restauratore antico. Anche di questi tre interventi non esistono documenti.

Tutti questi materiali impiegati nel corso degli antichi restauri si erano alterati e scuriti, impoverendo la lettura dei colori e dei particolari originali di quest’opera (stupenda). Alcuni documenti ottocenteschi, invece, hanno chiarito che all’epoca l’opera fu lavata con acqua e soda caustica: possiamo immaginare il disastro che questo solvente aggressivo deve aver creato sul colore un vero e proprio disastro conservativo ed è forse questa la ragione delle numerose stesure che le furono date sopra per omogeneizzare il tono.

Nell’affrontare il restauro dell’opera, una particolare attenzione è stata rivolta alla progettazione della diagnostica, prima durante e dopo l’intervento di restauro. Questo ha permesso di approfondire tre aspetti di fondamentale importanza prima di poter intervenire:

  1. la conoscenza della tecnica impiegata da Piero della Francesca;
  2. la conoscenza di ciò che non era originale ma sovrapposto all’opera nel corso dei secoli;
  3. la determinazione se l’opera fosse dipinta su un muro che corrispondeva alla sua collocazione originaria o se si trattasse di un “trasporto a massello”.

Solo di seguito a queste campagne diagnostiche, quindi, sono state pianificate e attuate dai restauratori le complesse operazioni di pulitura e di consolidamento dei materiali dell’opera, che variavano a seconda della tecnica pittorica e della natura dei materiali estranei provenienti dai restauri pregressi e da asportare: le operazioni di pulitura si sono svolte gradualmente, in fasi successive legate ai materiali da rimuovere. Dal punto di vista estetico questa gradualità ha consentito una sorta di scopritura progressiva dei colori originali dai materiali estranei, scuritisi nel tempo, seguendo le più moderne tecnologie di restauro, fino ad arrivare alla fase finale che consiste nella “reintegrazione pittorica”: essa rispetta assolutamente il colore autentico e si limita a intervenire sulle aree in cui si è perduto il colore originale, ricucendo quindi il tessuto pittorico, ma senza integrare alcuna lacuna di tipo figurativo.

E’ stato confermato che, sulla base delle indagini effettuate, lo strato pittorico della Resurrezione, in tutte le sue parti, non presenta pentimenti o rifacimento.

Questo significa che, nonostante i danni e le vicissitudini conservative, la superficie dipinta interna alla incorniciatura architettonica dipinta che la circonda è completamente originale, sia pure impoverita cromaticamente dal dannoso intervento ottocentesco di cui è stato già detto.
La pittura risulta dipinta con tecnica mista: in parte ad affresco, a tempera e a secco, e con l’uso di diversi metodi di trasporto del disegno. Piero della Francesca ha previsto  l’uso di diversi metodi di trasporto del disegno dal cartone alla superficie intonacata; la maggior parte di esso è stato riportato con il metodo dello spolvero, le linee verticali sono state ottenute con finissime corde battute sulla superficie intonacata di fresco, mentre alcune linee delle aste sono state incise direttamente sulla superficie. Una volta asciugatasi la malta dell’intonaco pittorico, alcuni particolari sono stati dipinti sulla superficie asciutta con ocra rossa o terra d’ombra, mentre altri particolari sono stati ricavati a risparmio. La tavolozza di Piero è costituita da pigmenti tipici della tecnica ad affresco, come le ocre, le terre naturali e i silicati; ma anche pigmenti caratteristici della pittura a tempera, come il lapislazzuli, l’azzurrite, il cinabro, il minio, la lacca rossa, la malachite e la biacca.

Uno degli scopi del restauro era la determinazione se l’opera fosse stata dipinta sulla parete che oggi la ospita e che divide in due la grande sala principale del Palazzo; o se, come talvolta si leggeva, senza che fosse certa la notizia, si trattasse di un “trasporto a massello”: cioè di una porzione di muro rimosso da un’altra posizione e addossato poi a questa parete, in altra epoca, verosimilmente antica dato che il dipinto vi è attestato fin dal primo Cinquecento.

Questo quesito era importante a sciogliersi anche per meglio determinare le possibili conseguenze statiche in caso di terremoti, essendo la zona di Sansepolcro ad alto rischio sismico.
La verifica che si tratta di un trasporto a massello, che crea il sostanziale isolamento strutturale dell’opera dalla sua parete, è stato un elemento molto importante dal punto di vista conoscitivo ed anche dal punto di vista della sicurezza sismica.

Questa verifica è stata una delle fasi più complesse dello studio collaterale al restauro, proprio perché non supportata da nessun documento storico. E’ oggi però possibile affermare con certezza questo dato grazie alla grande mole di risultati dovuti alle indagini strutturali messe in atto. L’integrazione tra i dati oggettivi e visivi e l’interpretazione dei dati scientifici è stata possibile anche grazie alle ampie conoscenze e alla collaborazione con importanti istituti di ricerca e con alcune Università.

 

LA COLLOCAZIONE ANTICA dell’opera

Le origini del palazzo che ospita il Museo Civico di Sansepolcro, storicamente chiamato “Palazzo della Residenza” perché sede delle magistrature cittadine, sono trecentesche. La riedificazione, sopra un precedente edificio, venne attuata per volere di Galeotto Malatesta intorno ai primi anni settanta del 1300, come sede, appunto, del governo della città. Sono testimonianza di queste storiche origini gli ambienti sotterranei, un tempo stalle del palazzo,  che oggi ospitano collezioni di arti minori e mostre temporanee. L’attuale edificio subì nei secoli svariate modifiche, non tutte facilmente individuabili.

Nella riconfigurazione quattrocentesca, quando il Palazzo della Residenza fu completamente riorganizzato, fu ridefinita la sala dei Conservatori del Popolo, separando in due parti la sala pre esistente con la parete che ospita, appunto, la Resurrezione di Piero della Francesca.

La Resurrezione non ha una datazione precisa da un punto di vista documentario; il parere degli studiosi oscilla fra il 1450 e il 1460. Le ricerche documentarie nate intorno al restauro ne legano l’esecuzione ad una committenza di tipo civico e non specificamente religioso (nonostante il soggetto); secondo questa interpretazione, che rilegge le vicende politiche ed istituzionali della città, si potrebbe pensare che fosse stata realizzata dopo il 1465.

Non sappiamo dove la Resurrezione fosse stata dipinta originariamente, ma si ipotizza che fosse situata in esterno, sull’arengario che si trovava lungo la facciata dell’edificio, più o meno in corrispondenza dell’attuale porta-vetrata aperta proprio in sua corrispondenza.
Il trasporto potrebbe essere avvenuto sempre in concomitanza ad eventi politici della città, all’inizio del Cinquecento; o, come affermano altre ipotesi, mentre Piero della Francesca stesso era il responsabile dei lavori al Palazzo.  In entrambi i casi l’operazione costituirebbe probabilmente uno dei più antichi e monumentali “trasporti a massello” – ossia operando il taglio e il trasporto di tutto il muro – della storia del restauro.

 

STORIA CONSERVATIVA DOCUMENTATA

Già nei documenti ottocenteschi una situazione conservativa precaria della Resurrezione viene descritta nel 1864, citando le condizioni “della pregevole e celebre opera in una sala priva di luce, indecente, e insalubre”; inoltre si precisa che l’affresco “restando più a lungo dimenticato e sepolto nell’oblio corre gran rischio di più deperire”.

Dal punto di vista degli interventi di restauro risulta ad oggi la notizia di una ripulitura non autorizzata che il pittore inglese Edward Hughes esegue nel 1896, cui segue un ricco carteggio intorno ai danni che egli sembrerebbe aver provocato: si entra nel merito di come è stata ripulita, cioè con acqua maestra (acqua e soda caustica). Anche solo da questo ci si rende conto di quanto invasivo e dannoso sia stato il trattamento.

Nello scorrere i documenti dell’Archivio Storico Comunale di Sansepolcro relativi ai lavori dei primi decenni del Novecento,  si trova menzione del fatto che il noto restauratore dell’epoca, Domenico Fiscali, esegue e cura tra il 1913 e il 1922 i restauri  più importanti nella città e sul territorio. Ma allo stato attuale delle ricerche risulta che sia intervenuto sulla Resurrezione di Piero solo con il compito di “revisionare”.

Importanti lavori nel 1900 furono eseguiti nelle due sale di Piero della Francesca e in quella retrostante, detta di Matteo di Giovanni; mentre altri interventi che possono aver coinvolto la Resurrezione sono relativi ai lavori di consolidamento della Pinacoteca che nel 1939 comportarono la demolizione della volta. Conseguenze sulla statica della parete dovettero inoltre avere i terribili terremoti del 1917 e del 1948.

Altri grandi lavori strutturali della Pinacoteca iniziano nel 1950. È nel 1952 che il Consiglio Superiore delle Belle Arti decide che l’opera non deve essere rimossa per permettere i lavori in sicurezza e che venga nominata una commissione per la tutela della Resurrezione.

 

Il Cristo prima del restauro

 

LO STATO DI CONSERVAZIONE E IL RESTAURO

L’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, Settore Conservazione Dipinti Murali, relativamente alla Resurrezione di Piero aveva già a suo tempo espresso valutazioni preoccupanti dal punto di vista della conservazione, a conclusione della campagna di indagini svoltasi dal novembre 2008 al dicembre 2010, evidenziando i processi di degrado in atto. Questi furono documentati da indagini scientifiche non invasive, oltre che dall’esame autoptico della superficie; i risultati furono resi noti nel corso di una giornata di studi nel 2011, nel corso della quale si evidenziavano i gravi fenomeni di decoesione e/o sollevamento della pellicola pittorica,  preoccupanti aree di distacco degli intonaci pittorici e problemi diffusi di solfatazione.

Gli interventi di restauro si rendevano quindi particolarmente urgenti: alcuni intonaci erano, come si è detto, fortemente distaccati dal substrato, la pellicola di colore tendeva a staccarsi dall’intonaco ed era presente un esteso fenomeno di solfatazione superficiale. La solfatazione è una grave e nota “malattia” degli intonaci dipinti, che provoca un pericoloso degrado, perché trasforma chimicamente la molecola del substrato, a base di carbonato di calcio, in una molecola che raddoppia le sue dimensioni facendo letteralmente “scoppiare” la couche dipinta.

Sulla zona perimetrale all’opera, corrispondente al confine tra la pittura originale e il rifacimento di completamento alla scena, erano presenti numerose rotture che insistevano in corrispondenza delle colonne corinzie e sulla base della cornice. La dimensione autentica della Resurrezione non è infatti nota e il perimetro di confine originale risulta completamente distrutto tanto che la scritta dedicatoria in basso è quasi completamente perduta e di difficile interpretazione.

I danneggiamenti perimetrali sono legati al fatto che essa è un “trasporto a massello”; possiamo affermare però che essi non sono relativi ad ampie aree: la scritta dedicatoria potrebbe essere andata perduta in un momento successivo al trasferimento o esclusa dalla sezione da “trasportare” perché non importante o non attuale. Alcuni danni perimetrali potrebbero essere dovuti ad una incorniciatura lignea più tarda, di cui si trova menzione in documenti seicenteschi, che venne addossata alla pittura.

La pulitura dell’opera è avvenuta in maniera molto graduale e attenta, attraverso alleggerimenti successivi dei materiali sovrapposti. Il risultato più evidente è la ritrovata luminosità e cromia dei colori di Piero della Francesca e la ritrovata profondità spaziale conferita dall’artista  alla scena e perduta nell’appiattimento dei colori causato dalle pesanti patine di restauro, insieme alla “riscoperta” di torri, castelli e fortezze rappresentate sul paesaggio del fondo.

 

L’autoritratto di Piero

 

 

L’autoritratto di Piero

Un elemento interessante della figurazione della Resurrezione è quello della possibilità che il soldato in posizione frontale, ai piedi del Cristo, sia l’autoritratto di Piero della Francesca. A riprova dell’antica tradizione che questi fossero i caratteri somatici di Piero, sono alcuni dettagli somatici come i capelli ricci, gli occhi grandi, rotondi e molto incavati, il mento pronunciato con al centro una caratteristica fossetta, le labbra carnose che ritornano in altri personaggi della sua opera nei quali si può pensare che l’artista si sia ritratto. Questi tratti somatici vengono poi assunti da tutta la ritrattistica ideale di Piero della Francesca di epoca successiva.

 


Ufficio Stampa, Rosi Fontana Press & Public Relations, info@rosifontana.it

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