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Da Reality n. 73, edito da www.ctedizioni.it

Immaginiamo i funzionari del comune di Firenze, incaricati di redigere l’elenco delle opere d’arte lasciate in eredità, nel 1922, alla Città del Giglio, da Stefano Bardini. Quando aprirono quelle stanze del Palazzo di piazza de’ Mozzi rimasero a bocca aperta. Un incredibile blu fiordaliso diffondeva le sue sottili variazioni nelle sale, faceva da sfondo a tavole, sculture, cornici rinascimentali, quando non trecentesche. Impossibile da capire. Non fecero nemmeno una foto agli ambienti. Semplicemente cancellarono tutto, ricoprendo le superfici di un più cònsono color crema, in tinta con i gusti condivisi degli intenditori e critici a loro contemporanei.

Con la stessa facilità becera con la quale gli imbianchini della Controriforma azzeravano gli affreschi dei grandissimi, sulle pareti delle chiese, magari dopo averli ferocemente scalpellati via.

Nel 1925 il museo fu presentato al pubblico nella nuova veste ridipinta, e solo la sollevazione di tutti gli antiquari fiorentini permise che il nome del donatore venisse mantenuto. L’idea iniziale era di far sparire anche quello. E tutti approvarono, dicendo che il blu nulla c’entrava con la città, e che Bardini era un antiquario “antiquato” e stravagante. Ma pensarono di peggio.

Ma per fortuna le pareti non sono come gli affreschi, ed è possibile ritingerle di nuovo. E nel 2009, il 4 di aprile, dopo attenti e rispettosi restauri, ecco che la nuova sistemazione museale ripropone di nuovo il blu. Il grande mercante d’arte, attivo sul finire dell’Ottocento, aveva gusti molto personali sul come presentare le sue collezioni. Gusti che uscivano dalle mura fiorentine e si confrontavano con realtà lontane, che aveva incontrato nei suoi viaggi. O sulla riva dello stesso fiume, l’Arno, in quel di Pisa. L’esempio del “Palazzo Blu” che spicca tra i palazzi che si affacciano sul lungarno e che nel 1773 ospitò il Collegio Imperiale Greco Russo, viene subito in mente.

E il gusto internazionale di Bardini rivive nelle stanze che furono sue, le meraviglie recuperate dalle case e soffitte dei nobili fiorentini, scoperte e valorizzate, ritrovano la loro antica scenografia e l’antico splendore.

Era un grande manager, Bardini, giunto giovanissimo a Firenze da Pieve Santo Stefano (Arezzo), dove era nato nel 1836 per studiare pittura all’Accademia, dove fu allievo del Bezzuoli. Ma ben presto s’inventò marcante d’arte, e fu il migliore di tutti. O almeno, il più capace e fortunato. Il suo nome entrò nelle vendite dei capolavori che dall’Italia si sparsero in tutto il mondo. Nel primo dopo guerra Stefano si ritira dal commercio e organizza per il proprio piacere, e quello di pochissimi amici, l’allestimento delle opere d’arte che non aveva mai voluto vendere. Quelle che, insieme ad altre, di proprietà del Comune, sono visitabili oggi, di nuovo con il blu fiordaliso alle spalle. Che non è mai lo stesso, perché in ogni sala vive di sottile differenza di tono, per adattarsi alla qualità e ai colori delle opere esposte.

Chissà se un altro straordinario creatore di Blu, il francese Yves Klein, ha mai sentito parlare del nostro antiquario. Il suo Blu è molto più carico, elettrico, denso. Addirittura Yves lo fece brevettare con il suo nome per legarsi per sempre a quel mondo ricco di spiritualità. E forse proprio in questo aspetto ritrovo una strada comune. Il blu fiordaliso e il blu di Klein sono come il fondo oro degli antichi, dove tutto si annulla e si ricrea: lo stesso blu che ha il cielo del Paradiso.

E nel cielo del Museo Bardini, le stelle tornano a risplendere. I restauri delle opere d’arte che vi sono custodite riaccendono i colori, gli ori e le trasparenze. Come nel caso della Madonna con il Bambino, attribuita al Maestro di San Miniato, recentemente recuperata dalla restauratrice Silvia Fiaschi, grazie alla generosità di uno sponsor, l’Associazione Firenze Donna.

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