La collaborazione di Lányi con il fotografo Gino Malenotti
di Martina Medolago
da:
Jenö Lányi (1902–1940)
Gebrochenes Leben und zerstreutes Werk eines mitteleuropäischen Intellektuellen
Vita spezzata e opera dispersa di un intellettuale centroeuropeo
Università tedesca Andrássy Gyula
di Budapest
Traduzione dal tedesco di Andreina Mancini
Nel dicembre 1936 Lányi menzionò per la prima volta il fotografo Gino Malenotti in una delle sue lettere.1 Malenotti (attivo tra il 1925 e il 1950) collaborò con la ditta Brogi2 a partire dagli anni ‘40 e fu uno dei migliori fotografi d’arte del suo tempo.
Era molto ricercato da critici e studiosi d’arte italiani e stranieri e dagli artisti che lavoravano a Firenze ed era noto per le sue accurate rappresentazioni della realtà.3
La collaborazione tra Malenotti e Lányi può essere circoscritta al periodo tra il 1936 e il 1939, quando Malenotti non lavorava ancora per Brogi.
Il fotografo aveva sviluppato una tecnica perfetta e una particolare sensibilità, prestando attenzione al tipo di luce, ma anche alla sequenza degli scatti. Lo scopo era quello di fotografare le sculture sezionandole da un punto di vista critico e organizzandole in modo tale che potessero poi servire come riferimento al testo nelle tavole delle monografie.4
Malenotti scattava spesso fotografie per incarico degli studiosi e si occupava delle campagne sulla base di precise richieste da parte degli storici dell’arte, che fondavano gran parte del loro lavoro di analisi stilistica su materiale fotografico. Si trattava spesso di fotografie che analizzavano le opere minuziosamente fino al più piccolo dettaglio.5
Non sappiamo se lavorasse in questo modo già negli anni ’30 o solo dopo la sua collaborazione con Lányi.
Malenotti ha sempre lavorato con la luce artificiale. Secondo il racconto di uno dei suoi studenti, Giancarlo Kaiser, quando scattava le fotografie utilizzava sia esperienze ottiche che tattili. Controllava l’inquadratura e in quel momento dava istruzioni per le luci.
- Jenö Lányi alla famiglia: Firenze, 18-12-1936.
- CAPODANNO 1995, p. 10.
- “[…]il fotografo più amato e conteso dai critici e dagli studiosi d’arte italiani e stranieri e dagli artisti che lavoravano a Firenze, […] che volevano rivedere nelle foto le loro opere così come loro le avevano modellate”, SILVESTRI 1995, p. 11.
- “[…] era la vera anima fotografica e artistica della ditta Brogi […]. Fotografava spesso su commissione degli studiosi, vale a dire si occupava delle campagne più difficili e impegnative, dietro le quali stavano le richieste precise e puntigliose di storici dell’arte che sul materiale fotografico impostavano gran parte del loro lavoro di analisi stilistica. […] Spesso si trattava di fotografie che minuziosamente riprendevano le opere fin nei loro minimi dettagli […]”, SARCHI 2011, p. 236.
- SARCHI 2011, pp. 235–236.
Poi tastava con le mani le figure e i bassorilievi scolpiti, percepiva le forme che non erano visibili a causa di un riflettore mal diretto e correggeva nuovamente le luci.6 Questa aggiunta del tatto alla vista è una testimonianza eloquente dell’affinità che Malenotti provava per l’opera d’arte e fa comprendere il motivo per cui tanti studiosi, tra cui Lányi, apprezzavano molto le sue fotografie.
L’impegno e la passione di Malenotti per la fotografia come mezzo di documentazione dell’opera d’arte coincidono con quelli di Lányi, che a volte si concentra interamente sulla riproduzione fotografica.
Nel 1938, Lányi osservava che “ la scrittura è ormai solo una mia occupazione secondaria, mentre la fotografia è l’occupazione principale ”.7
Anche quando nel settembre 1938 Lányi aveva già lasciato Firenze, continuò a lavorare con Malenotti.
La collaborazione terminò probabilmente solo alla fine del 1939, quando Lányi scrisse alla madre:
“Riceverò il mio assegno mensile ancora per qualche mese, dopodiché sarà ridotto alla metà. E il colpo più grosso: la campagna fotografica a Firenze è terminata e quindi il mio lavoro è stato interrotto! Per un po’ sono rimasto quasi paralizzato e non riuscivo a dormire, ma piano piano sto cominciando a riprendermi ”.8
Il lavoro fotografico fu quindi interrotto a causa di problemi finanziari. Lányi riuscì a pagare Malenotti grazie al sostegno di Rolf Langnese. Quest’ultimo informò Lányi nel dicembre del 1939 che presto avrebbe dimezzato il suo sostegno – non è dato conoscere il motivo.
A Lányi fu consigliato di rivolgersi a un mecenate austriaco, come scrisse a Katia Mann nel gennaio 1940:
“Nel frattempo, alcuni amici qui mi hanno consigliato di rivolgermi a un conte austriaco [sic!]9, grande mecenate delle arti, che dovrebbe continuare a finanziare il mio lavoro di fotografo dopo il fallimento di Langnese.”
“Ora attendo ogni giorno la risposta alla mia lettera – non mi aspetto molto da questa iniziativa, ma forse qualcosa ne uscirà. Il conte – di nome Seilern – mi conosce e conosce anche alcuni dei miei lavori, che gli ho presentato a Vienna.
All’epoca era molto entusiasta – ma la strada che porta dal grande entusiasmo all’aiuto concreto è piuttosto impervia di questi tempi.”10
Antoine Edward Conte di Seilern e Aspang (1901-1978) visse a Vienna dal 1910, studiò storia dell’arte dal 1931 e fu anche collezionista d’arte. Purtroppo il patrimonio lasciato da Seilern non è stato ancora reso noto.
Non si sa quindi se abbia continuato a sostenere Lányi e se Malenotti abbia potuto continuare a lavorare fino al 1940. Quello che è certo, tuttavia, è che la campagna fotografica fu una priorità assoluta per Lányi sino alla fine della vita e un elemento indispensabile della sua ricerca.
10. Jeno Lanyi a Katia Mann: gennaio 1940. Zurigo, Archivio Thomas Mann dell’ ETH, B-III-6-Mann-4.
Sembra che Antoine von Seilern abbia promesso: “La notizia migliore è che un amico, un conte austriaco, pagherà mille lire al mese al mio fotografo a Firenze per un anno!! ” Jeno Lanyi alla madre, lettera senza data né luogo (dopo il primo anniversario di matrimonio con Monika Mann e prima del 6 aprile 1949).