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Giuseppe Chiari, da: http://www.fondazioneberardelli.org

Ciò che ci univa. La passione per l’architettura

(Scritto nel maggio 2008)

 

Pasolini e Chiari. La differenza è che Chiari sentiva il rapporto con Firenze come appartenenza, anche se in questa città, al di là dei pochi amici, non ha trovato nessun riconoscimento finché non è stato riconosciuto fuori.

E anche allora… Basterà ricordare che al suo funerale non c’era un personaggio pubblico fiorentino. Mentre, ad esempio, c’era un telegramma di Cacciari. Il nostro caro sindaco lo mandò, su indicazione, certo, il giorno dopo…

Io non ho mai sentito Firenze come appartenenza. Ci sto perché ho molti amici carissimi, ma non vivo la città, non mi interessa. Abbiamo lavorato insieme per “Umanesimo Disumanesimo nell’arte europea….”, che avevo organizzato anche per capire se questa città fosse pronta… Inutile… Chiari intervenne su una piazzetta del centro evidenziandone il brutto rifacimento ottocentesco….

L’intelligenza di Chiari, viva, divaricata, tagliente, spesso sarcastica, volutamente espressa nei suo gesti minimi, secondo le regole di Fluxus (ma Chiari lo ha fatto fin dai suoi inizi…) ma difficilmente afferrabili da chi si aspetta “l’opera”.

L’unico paragone che mi viene da fare, pur nelle diversità di impostazione, è quello di Vincenzo Agnetti ….

Telefonate…

costringendoti ad accelerazioni mentali a velocità supersonica…

Chiari arrivava subito alla dichiarazione/proposizione dandola, per così dire, come per scontata; e non lo era affatto: e stava attento a capire se l’ avevi còlta…

Il suo primo interesse era e restava la musica.

Fin dal principio.

Musica che inventava su termini nuovi e diversi, anche nella grafia.

Riporto qui una sua interpretazione del suo successo come artista: “C’è un’importante convergenza tra informale e improvvisazione; l’informale si basa molto sull’improvvisazione, sulla casualità e questa è all’interno delle opere di John Cage, che in un certo senso è tutta informale”

E “L’andazzo concettuale porta in quel periodo” (parla del ’68-’70) “molto bianco e nero nell’ambiente pittura… Questo in definitiva mi aiuta perché gran parte del mio lavoro è a china, quindi in bianco e nero ed è quello che mi fa accettare”.

E poi le sue dichiarazioni come “L’arte è facile”, “l’Arte è una piccola cosa”, che mi portò alla Biennale del ’78, vengono accolte come arte concettuale”.

Volevo aggiungere una dichiarazione di Cerritelli del ’90: “Porta in scena anche la figura del dilettante con cui Chiari rovescia paradossalmente l’identità dell’artista professionista, mescolando ruoli che la tradizione ha sempre considerato intoccabili”.

Accetto questa dichiarazione solo pensando a Savinio, altro straordinario Stendhaliano, cioè “dilettante”, di quel dilettantismo, di quella “superficialità” e “leggerezza”, intese come disprezzo della pedanteria e della pseudo profondità irrisolta; accetto questa dichiarazione solo se si intende, in questo caso “dilettantesimo”  come “esprit de finesse”:

Così quando Chiari  scriveva (’66): “non suona ma è musica” nella parte interna di una chitarra sfondata è come se, recuperando alla sonorità il suo “silenzio” che, come ha scritto, “è un continuo”, “il silenzio che ho cercato è diverso da quello di Cage” è che il suo è rappresentato da quelle pause attraverso le quali filtrano le sonorità che la vita produce, in spazi solo apparentemente “vuoti”.

E si torna ad Agnetti e Colombo col loro “Neg”.

E questo è un canto alla libertà dell’arte e alla concezione di “arte come vita”. Finisco con una sua dichiarazione. “Io amo la vita ma vivo in una cultura dove la vita ha un segno negativo: Io non amo la morte ma vivo in un mondo dove la morte ha segno positivo”.

Certo, in un paese papalino come il nostro…

 


 

Ringrazio Mario Chiari, figlio di Giuseppe, per avermi permesso di pubblicare qui sotto il sito ufficiale dell’artista.

paolo pianigiani

 

http://www.giuseppechiari.eu

 

 


 

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