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Lara- Vinca Masini su Mario Betti

dal Catalogo della mostra del 1992 alla Galleria Il Ponte

Foto di Loris Ciampi

 

Galleria il Ponte, Firenze: Catalogo della mostra allestita a Firenze nel 1992. Dipinti dal 1990 al 1992. Testi di Lara-Vinca Masini e Andrea Alibrandi. Mauro Betti è nato a Cascina, Pisa, nel 1951.

 

Mi sembra che Mauro Betti sia un esempio notevole dell’espressione di un «furor», di una passione irrefrenabile nei confronti della pittura, del suo farsi, nelle sue componenti; prima la forza della sua espressività, della sua rappresentazione un mondo personale, della concezione di arte e di cultura di chi la pratica; dall’altra parte la sua elaborazione tecnica, nella quale egli sembra immergersi con una fisicità ed una implicazione di tutta la sua manualità, secondo una forma e un’istintualità che trova un corrispettivo storico soltanto in certo vitalismo dell’Action Painting, nella sua implicazione totale del corpo e della propria emotività nell’elaborazione del quadro, che diventa un «campo» di accadimenti, un simbolo della vita stessa.

E in alcuni lavori immediatamente precedenti al gruppo che Betti espone in questa personale si riscontrano, anche, allusività, forse inconsce, a modi caratteristici della seconda Scuola di New York, che già si apriva ad esperienze di «all cover painting», dove il segno si fa lieve accentuazione e definizione, in un rapporto di interazione con la materia di base.

Ciò che appare evidente soprattutto nella serie dei lavori ad olio (di olio mantenuto asciutto, scabroso, «mat», e, in particolare nel gruppo Le forme che passano, nel Dipinto in cielo, nel Segmento IV…, nei quali la superficie si propone, ad un primo sguardo, come una superficie di colore uniforme (spesso bianco spumoso e denso, fatto, si è detto, di una materia grassa ma opaca), solcata da un segno forte e deciso; ad un primo sguardo, dicevo, perché, in realtà, la superficie unita è rappresentata dall’ultimo velo di colore che, pur nella sua densità materica, lascia scorgere lo spesso colore sottostante che, con la sua stessa densità, sembra intensificare la forza dell’ultima «pelle della pittura».

A questo tema del rapporto «superficie-segno» si unisce, talvolta, il recupero di immagini simboliche (Grande iconografia, Fresco iconografico, Bandiera III...), immagini di ispirazione geometrica, ma tracciate con una gestualità, volutamente «imprecisa», antiprogettuale, secondo una geometria grintosa, «espressionista», se così si può dire, che, inoltre, per certi aspetti, recupera anche un po’ della sprezzante aggressività caratteristica dell’astrattismo «classico», fiorentino (alla Vinicio Berti, per intenderci – il  sangue, comunque, non è acqua…) trasformandola, peraltro, in una sorta di simbologia vuota di riferimenti precisi, quasi dei «lògoi» senza destinazione.

Mentre più chiare, più direttamente emblematiche si presentano le immagini, durissime, che si esprimono   nei  densi pastelli  (il pastello, nel lavoro di  Betti, torna al suo significato primario  di «pasta», usato in spessori compatti, nella autenticità dei colori puri), le «bandiere cadute», pesanti come pietre, bandiere cariche di memorie tragiche… Anche se, pure queste, si pongono soltanto come immagini «forti», di significato quasi esclusivamente «formale».

 

Lara-Vinca Masini

 

 


 

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