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GLI 80 ANNI DEL PITTORE

di: Giovanni Lombardi

(1986)

 

 

Ore 11,30: appuntamento con Virgilio Carmignani che attende nella sua casa di via Carrucci, un appartamento che va al di là del puro dato giornalistico e assume il significato di un ritorno al passato, di quando — abitando nella stessa via — io e altri ragazzi lo chiamavamo « il pittore » la sua figura semplice e riservata s’imponeva nella nostra fantasia e si lasciava dietro un alone carismatico.

Proprio sull’onda di quei lontani ricordi, lo abbiamo trovato al cavalletto con i pennelli in mano e la prima domanda ha preso avvio sull’onda memoriale, come dire?, proustiana del passato.

 

« Mi avvicino agli 80 anni e tre momenti significativi, avvenimenti e pensieri, mi riaffiorano con un assillo ostinato: in primo luogo, la constatazione che avrei potuto fare molto di più, che avrei desiderato dare maggiore sfogo alla mia spinta creativa, ma non tanto per narcisismo o civetteria intellettuale, quanto per tradurre in materia espressiva il flusso della mia coscienza, del mio modo di vedere il mondo e la natura; in secondo luogo, ricordo la vita della scuola, sia quando sono stato allievo, sia quando ho insegnato disegno dal vero all’Istituto d’ arte di Firenze e di Siena.

Ho amato la scuola, l’insegnamento che mi metteva a contatto con i giovani, molti dei quali mi telefonano e si ricordano di me. Infine, il ricordo terrificante della guerra e della prigionia passata in un campo, a 300 chilometri da Varsavia, di tremila rastrellati e sbandati: eppure, paradossalmente, fu anche l’unico periodo in cui potevo pensare esclusivamente alla pittura, con un banchetto e un pentolino dove costruivo i colori che poi traducevo sulla carta rozza e raccogliticcia che i compagni di camerata mi procuravano ».

 

Dal passato, si scivola sulla pittura, sul suo significato, sugli indirizzi e sulle scuole che hanno avuto maggiore influenza nell’opera di Carmignani.

 

« Non ho seguito indirizzi precisi, ho solo imparato e attinto dalla grande lezione creativa che ha accompagnato il processo di maturazione civile, morale e artistica della società: per fare qualche nome, i bizantini, Giotto, il Trecento, l’arco ricchissimo del Quattrocento con Masaccio e ancora i Macchiaioli e la pittura tonale, poi Vagnetti con l’ondata di maggiore modernità e ancora Kokoska, il Greco, e il lombardo Tosi con la sua impostazione paesistica.

A me piace osservare la natura con un soffio elegiaco, coglierla nella grandiosità dello spazio e nella ricchezza delle sue intraducibili manifestazioni: il paesaggio, gli uomini che vi vivono appaiono coinvolti in questa visione di armonia, di respiro spirituale. Io miro all’essenza e sento profondamente i tanti simboli e le voci che coniugano l’uomo alla natura, alla bellezza campestre, al fascino di un tramonto, al brivido di una preghiera.

Giustamente un critico ha rilevato una continuità ideale e di percorso tra un mio quadro del 1927, con prevalenti influenze impressionistiche e uno — sullo stesso argomento — del 1978 in cui la materia frangiata, la differente tonalità pittorica non annullano questa sedimentata notazione poetica e psicologica ».

 

A questo punto, una domanda che svela sempre una pungente attualità: quale definizione dà all’artista, un intellettuale operante nella storicità e interprete, sia pure in chiave personale, del divenire delle inquietudini della società, o l’arte come pura categoria dello spirito e, quindi, metastorica?

 

« Io credo — dice — che l’artista, come ogni uomo, sia sempre storicamente determinato; ma, nello stesso tempo, ritengo che pur dialetticamente collegato al vissuto sociale, disponga di uno spazio creativo di autonomia e di inalienabile libertà ».

 

L’ultimo quesito: tanti giovani si affacciano alla pittura, talvolta con la fretta di mietere successi; quali consigli si possono dare?

 

« Non ho nessuna intenzione di fare il predicatore, ma dico loro di studiare e di approfondire con spirito di ricerca, di amare le cose che si accingono a fare, consapevoli che nulla è facile e definitivo e che c’è sempre qualcosa da scoprire. Ci vuole, soprattutto, tanta serietà spirituale e culturale ».

 

Molti si sono chiesti perché Carmignani è rimasto a Empoli.

 

« Perché amo Empoli, la sua gente, come del resto amo l’umanità e con la mia arte ho cercato di esprimere la sincerità, la vivezza di questo amore ».


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