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Fig. 1: Autocromia Lumière del San Sebastiano di  Cima da Conegliano (tav. 24), ca. 1911

Passioni intrecciate: arte e fotografia a I Tatti

di Giovanni Pagliarulo

A Fiorella Superbi Gioffredi

Da:

Bernard and Mary Berenson

Collection of European

Paintings at I Tatti Edited by Carl Brandon Strehlke

Officina Libraria, 2015

traduzione di Andreina Mancini

Nel suo Sketch for a Self-Portrait (Abbozzo per un autoritratto), Bernard Berenson affermava di non considerarsi un collezionista; acquistava opere d’arte solo per decorare la propria casa.1

Si trattava ovviamente di una sottovalutazione espressa in vecchiaia. Come ammetteva nelle stesse note autobiografiche scritte subito dopo la guerra, “c’è voluta la dispersione della maggior parte delle collezioni private in tutta Europa per farmi capire che la mia era una delle migliori rimaste.”2

Che Berenson lo sapesse da sempre è dimostrato dalla cura con cui fece fotografare la collezione, a partire dal 1910. La campagna del fotografo fiorentino Vittorio Jacquier comprendeva non solo i dipinti, ma anche le sculture, l’arte asiatica, i mobili, e le vedute della casa e del giardino, che documentavano la stretta relazione tra l’interno e l’esterno della villa che era stata appena ristrutturata sotto l’attenta guida di Berenson e di sua moglie Mary Whitall Smith.3

Al momento del loro matrimonio, alla fine di dicembre del 1900, si erano trasferiti lì in affitto e poi, dopo aver acquistato la villa nel 1907, avevano ristrutturato la proprietà con l’aiuto degli architetti inglesi Cecil Pinsent e Geoffrey Scott..4

In pochi anni, l’edificio, che era stato una villa toscana di campagna piuttosto semplice, fu rimodellato secondo le idee e le aspirazioni estetiche dei Berenson. Verso il 1910, i lavori erano già a buon punto ed era stata acquistata la maggior parte dei dipinti. Furono fatte delle fotografie, anche se le immagini di alcuni dipinti esistevano già.5 Come vedremo, Jacquier non fu il primo fotografo a lavorare lì in quei primi anni.

La campagna di Jacquier nella villa, iniziata probabilmente nel 1910-11, durò diversi anni. Il 28 luglio 1943 il suo archivio di 7.142 lastre fotografiche fu acquistato per 150.000 lire dal Gabinetto Fotografico della Soprintendenza di Firenze, grazie all’appoggio di Giovanni Poggi, che era allora soprintendente, buon amico dei Berenson in quegli anni cruciali.6 L’archivio comprendeva tutti i negativi della collezione de I Tatti. Dopo l’acquisizione da parte del Gabinetto Fotografico, tutte le lastre fotografiche furono rinumerate. In questa operazione, le lastre della collezione Berenson persero la loro numerazione originaria, che tuttavia può essere ricostruita grazie a un elenco parziale della collezione, redatto da Mary intorno al 1915, e all’inventario dell’archivio del Gabinetto Fotografico.7 Quest’ultimo inventario è stato compilato da Nicky Mariano, fedele segretaria di Bernard, che ha aggiunto attribuzioni, soggetti e indicazioni sulle opere non più presenti a I Tatti. La numerazione originale delle lastre può essere dedotta anche dalle note sulle stampe vintage esistenti presso la Fototeca Berenson e altrove. Su molte di queste stampe, Jacquier aveva scritto a matita nera il numero che aveva attribuito a ciascun negativo.

Fig. 2: Fotografia di Harry Burton del Buddha Javanese a I Tatti, ca. 1910

Prima di dedicarci alla campagna di Jacquier, dobbiamo soffermarci sul lavoro di un fotografo precedente. Il suo nome risulta da una lettera del 10 ottobre 1910, che Mary scrisse da I Tatti a Bernard a Parigi: “Oggi Burton è qui a fotografare i Signorelli e il Cecco di Giorgio [Francesco di Giorgio], e ho pensato che potrebbe fare anche il Botticini. Partirà per l’Egitto alla fine di questa settimana”. Questo Burton è certamente Harry Burton, che in seguito sarebbe diventato famoso per essere lo straordinario fotografo archeologico degli scavi nella Valle dei Re in Egitto, che nel 1922 culminarono con la scoperta della tomba di Tutankhamon.8 Burton nacque a Stamford nel Lincolnshire da una famiglia numerosa e di modeste condizioni; il padre era falegname ed ebanista. Lo storico dell’arte Robert Hobart Cust (1861-1940), che viveva a Stamford, si occupò della sua educazione e Burton, ancora adolescente, andò a vivere con lui. Quando quest’ultimo, spinto dall’interesse per il Rinascimento italiano, decise di trasferirsi in Italia – probabilmente intorno al 1896 – portò con sé Burton come segretario.9 A Firenze, i due entrarono nell’orbita dei Berenson, come dimostrano non solo le dediche delle pubblicazioni di Cust, molte delle quali si trovano nella biblioteca de I Tatti,10 ma anche le ventisei lettere di Cust a Bernard e Mary. Da questa corrispondenza inedita apprendiamo che Cust e Burton abitavano al numero 21 di via dei Bardi.11 Le lettere iniziano il 10 agosto 1902 quando Cust, scrivendo a Berenson, aggiunge i saluti di Burton, dimostrando che i due facevano già parte  dell’entourage de I Tatti.12 Che Burton e i Berenson si conoscessero già da qualche anno è dimostrato da una fotografia (FB 102625) di una Madonna del latte. Sul retro, oltre all’indicazione di archiviarla “con copie di Lorenzo di Credi”, Mary scrisse anche il nome di Burton seguito dal suo indirizzo, via dei Bardi 25, e dalla data, ottobre 1899. La nota indica certamente che nonostante la sua giovane età – aveva solo vent’anni – era il proprietario del quadro. Burton aveva probabilmente iniziato a collezionare opere d’arte (forse insieme a Cust) e occasionalmente le vendeva, come altri anglosassoni residenti a Firenze – ad esempio, il pittore canadese James Kerr-Lawson (vedi) un altro amico dei Berenson. La passione di Burton per le acquisizioni di opere d’arte è ben nota fin dal periodo trascorso in Egitto e dai suoi successivi soggiorni fiorentini, quando con il collezionista americano Theodore M. Davis si occupava della ricerca di opere d’arte.13 Da Burton, i Berenson acquistarono il frammento di una spalliera di Francesco di Giorgio Martini (tav. 36). Ma in questo primo momento Burton si dedicò soprattutto alla fotografia, e nella Fototeca Berenson si trovano numerose foto facilmente identificabili grazie al suo timbro con l’indirizzo della sua residenza in via dei Bardi.14

Le lettere di Cust gettano nuova luce sugli inizi del giovane fotografo, e grazie ad esse possiamo seguire alcuni dei loro pellegrinaggi artistici in cui Burton era il fotografo professionista. Dal dicembre 1903 al febbraio 1904, dall’Hotel Rapallo e Posta di Rapallo in Liguria, Cust inviò a Berenson diverse lettere in cui usava sempre il plurale in riferimento a Burton e a se stesso.15 Il 7 dicembre si apprende che Burton sta lavorando per una serie di libri da pubblicare nella serie di Pittori in Miniatura di Bell:

“Siamo stati a Milano per quasi un mese e abbiamo fatto molte gite interessanti: siamo andati due volte a Vercelli e abbiamo fatto visite volanti a Casale, Grignasco, Romagnano e Torino. Burton ha anche fotografato Gaudenzio Ferraris per il libro di Miss Halsey (di nuovo Williamson).

… Burton parte domani, se il tempo migliora, per Castel Fiorentino per fotografare quei Gozzoli per un libro che Douglas – ora ahimè! – perché i peccati di Europa hanno mandato ancora una volta i continenti  alla deriva – sta facendo per la Serie. Che non sapeva per chi era, quando è arrivata l’offerta e Douglas non sa chi lavora per lui. Burton ovviamente è contento di pensare che il suo lavoro abbia dato a Bells una tale soddisfazione da indurlo ad affidargli altro lavoro.16

Come era sua abitudine, Cust esprime ai Berenson la sua gratitudine e quella di Burton e ricorda le serate musicali a I Tatti, dove avevano incontrato, tra gli altri, “i Cracroft, i Kerr-Lawson” e “Miss Cruttwell.” 17  In una lettera del 14 gennaio, apprendiamo che la mano di Burton si sta ancora riprendendo da un incidente, ma vuole comunque che Bernard abbia le sue fotografie: “Sarà lieto di farvi avere le stampe se ottiene il permesso, e ce n’è una: – l’immagine di Cristo con l’anima della Madonna fra le braccia: – che ha preso dal suo catalogo. Dice che è a vostra completa disposizione.” Cust parla anche delle difficili condizioni di lavoro del fotografo in trasferta: “Povero ragazzo! Era terribilmente ostacolato dal tempo. Sapete come le cose sono messe in modo scomodo. È straordinario che sia riuscito a fare così bene come ha fatto.” Gli editori spesso non si rendono conto del significato di tutto questo. Problemi di luce, la contrarietà dei custodi etc. sistemazione adeguata dei tempi e delle stagioni.” Berenson, tuttavia, era ben consapevole dei problemi di illuminazione, avendone scritto in uno dei suoi primi articoli.18

 

 

Fig. 3: Fotografia di Harry Burton della Biblioteca Grande a I Tatti con le pitture murali di Piot coperte, 1911 circa

In una lettera datata 19-22 febbraio, Cust faceva divertire Berenson raccontando alcune notizie locali su un soprano e attrice cinematografica italiana: “Abbiamo persino convinto la famosa Lina Cavalieri, che con la famiglia soggiorna al Kursaal per motivi di salute, a venire a trovarci”. Ma parlava anche di alcune fotografie di Botticelli che Burton aveva inviato a Berenson, che potrebbero forse riferirsi alle tre stampe alla gelatina d’argento (cartelle FB F 270.7, F 269.1) con il timbro di Burton (BURTON & C°. / FLORENCE) di materiale di Botticelli, che si trovavano nelle collezioni di Frederick Stibbert a Firenze e di Dan Fellows Platt a Englewood, New Jersey. 19

Di Burton e Cust si parla in una lettera che Mary scrive alla madre da I Tatti il 19 febbraio 1906, nella quale tra commenti piuttosto sprezzanti a proposito di una monografia di Cust sul Sodoma, parla della vita personale dei due uomini: “…è appena arrivato il libro di Cust sul Sodoma, e lo sto esaminando per i nuovi elenchi di B.B. Ho scoperto che ha solo cinque o sei immagini che non conosciamo e, in compenso, io ne ho una dozzina nella mia lista che lui non cita. Ho sentito che sta per sposarsi, e anche il suo compagno adottivo, Burton”.20

A Firenze, tramite Cust, Burton conobbe anche Theodore Davis, il già citato ricco collezionista americano di Newport, che aveva sponsorizzato gli scavi nella Valle dei Re e che, come collezionista di arte rinascimentale, era in contatto con Berenson almeno dal 1894.21 In Egitto Davis assunse Burton come fotografo. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1940, Burton continuò a lavorare sui siti archeologici; nel 1914 la concessione passò a Lord Carnarvon e anche al Metropolitan Museum of Art.22

Le lettere a I Tatti mostrano che Burton continuò a venire a Firenze dopo il suo primo viaggio in Egitto nel 1910. Per esempio, accompagnò Cust in un viaggio a Siena nell’aprile del 1916.23 Berenson seguì la successiva carriera di Burton in Egitto, che culminò con la famosa serie di fotografie della tomba di Tutankhamon, scoperta da Carnavon.24 Il 10 luglio 1935, da Hampstead, Cust, dopo un lungo silenzio (aveva lasciato il Rinascimento italiano per dedicarsi a un’attività sociale), in una lettera di auguri a Berenson per il suo settantesimo compleanno, ricorda i suoi anni fiorentini, e scrive che non avrebbe mai previsto “opportunità così splendide” nel futuro di Burton.25 Nel febbraio del 1956, all’età di novant’anni, mostrando un rinnovato interesse per l’arte egizia e, cosa significativa per lui, per la pittura, Berenson si procurò 411 splendidi scatti di Burton delle decorazioni pittoriche delle tombe della Valle dei Re.26

 

Fig. 4: Fotografia di Harry Burton dell’Apostolo di Matteo di Giovanni (tav. 65) dall’archivio Frederick Mason Perkins

 

La già citata lettera di Mary del 10 ottobre 1910 ci informa che Burton si trovava a I Tatti per fotografare i quadri di Signorelli, di Francesco di Giorgio e, sperava, anche del Botticini. Purtroppo, le lettere di Cust non menzionano l’attività di Burton nella villa, per cui non possiamo dire se i Berenson speravano di farlo lavorare a una campagna più ampia. Il suo timbro (H. BURTON / FLORENCE e varianti), tuttavia, si trova su diverse stampe, per lo più aristotipi, di quadri della collezione presenti o passati.27 Inoltre, sappiamo che anche la Vergine col Bambino di Jacobello del Fiore (tav. 48) era stata fotografata da Burton, perché sul retro della stampa alla gelatina d’argento è riportata l’annotazione di Mary (si veda l’Inventario A, 16 di questo saggio) che si trattava di un suo negativo.28

Queste fotografie in precedenza erano state attribuite a Jacquier, perché i corrispondenti negativi si trovano presso il Gabinetto Fotografico, ma ora che le stampe di Burton sono state identificate presso I Tatti, è chiaro che un gruppo di negativi su lastra di 24 × 30 cm, un formato che Jacquier non utilizzava, sono di Burton. Ventisette di queste furono scattate a I Tatti.29 Non si sa come i negativi di Burton siano entrati in possesso di Jacquier. Forse Berenson voleva che tutte le fotografie de I Tatti rimanessero insieme, il che spiegherebbe perché Jacquier avesse numerato le stampe di Burton insieme alle proprie ricavate  dai negativi di Berenson. Diversi negativi del gruppo che proponiamo di attribuire a Burton sono stati danneggiati dall’alluvione del 1966 e due purtroppo sono andati perduti. La maggior parte di essi riguarda i dipinti de I Tatti, mentre tre sono relativi all’importante testa giavanese di Buddha (Fig. III.2), arrivata nella villa nell’ottobre del 1909.30 Di particolare importanza storica è la veduta della sala principale della biblioteca (Fig. III.3), la prima ad essere terminata da Pinsent nel 1910 e da lui chiamata la Prima Biblioteca.31 All’epoca era utilizzata da Berenson come studio. La fotografia di Burton è stata forse scattata per documentare la sala dopo che nel giugno 1911 la decorazione ad affresco di René Piot (vedi) era stata coperta. Burton aveva fotografato anche la sinopia delle quattro lunette e il fregio della parete nord (Figg. 142.4-7), come dimostra il suo timbro in rilievo su una delle stampe all’albume (FB 501822). Le fotografie devono risalire all’agosto 1910 circa, prima che il murale fosse dipinto. I negativi, che sono andati perduti, non furono consegnati a Jacquier, forse perché il murale non accontentò i Berenson e fu quasi subito coperto. Tuttavia, tra i negativi di dipinti di tutta Italia presenti nell’archivio Jacquier, molti sembrano essere effettivamente di Burton.32 Oltre ai negativi conservati con il materiale di Jacquier presso il Gabinetto Fotografico, sappiamo che Burton ha realizzato altre fotografie della collezione Berenson, che sono state pubblicate in articoli di Frederick Mason Perkins nel 1907-13, ma i cui negativi sono andati perduti: La Vergine col Bambino di Gentile da Fabriano (tav. 39),33 la cui fotografia è stata inviata alla Rassegna d’arte da Berenson stesso; il frammento di un apostolo di Matteo di Giovanni (Fig. III.4); 34 la Santa Lucia di un collaboratore del Memmi, in seguito attribuito a Simone Martini (tav. 68e); e il San Tommaso Apostolo di Ugolino di Nerio (tav.101), allora chiamato scuola di Duccio.35  Curiosamente, queste fotografie non si trovano a I Tatti ma nell’archivio Perkins di Assisi (Inventario del presente saggio B, 7, 9, 12, 15). Perkins e Burton, probabilmente tramite Cust, erano entrati in contatto alcuni anni prima, come dimostrano due fotografie dell’archivio Perkins dei due famosi paesaggi, allora attribuiti ad Ambrogio Lorenzetti e ora al Sassetta, realizzate appositamente per Perkins intorno al 1901.36 Cust, nelle lettere a Bernard, e ancor più a Mary, parlava spesso di Perkins. Un indizio dell’amicizia tra Perkins e Cust è il fatto che in un articolo del 1908 della Rassegna d’arte senese (pag. 9), Perkins pubblica, completamente fuori contesto, un dipinto di proprietà di Cust: la Fuga in Egitto di Francesco Vanni. Il pittore tardo-cinquecentesco era certamente lontano dagli interessi di Perkins, che infatti ha ritenuto di doverne giustificare la presenza nell’articolo, con l’annotazione del suo “merito veramente eccezionale”.

Fig. 5: Autocromia Lumière della Vergine col Bambino di Foppa (tav. 35), 1911 ca.

Mary, nella sua lettera del 1910, cita le opere di tre artisti che sono o saranno fotografati da Burton: Signorelli, Francesco di Giorgio Martini e Botticini. Le fotografie dei ritratti dei Vitelli eseguiti dal Signorelli  (tav. 96) erano un tempo considerate di Jacquier (GFS 52273-74)37.

Presso I Tatti è presente solo la stampa vintage alla gelatina d’argento di Camillo Vitelli, sulla quale è riportato il numero 133, assegnato da Jacquier e corrispondente a uno dei due negativi perduti.38  Come in tutte le stampe alla gelatina d’argento di Burton, anche questa mostra attenzione all’uniformità dell’illuminazione per la quale divenne poi famoso; le tonalità di grigio; e il sottile bordo bianco. Il Francesco di Giorgio Martini che Mary ha menzionato non era il piccolo frammento del cassone oggi riconosciuto come opera di Liberale da Verona (tav. 51), poi attribuito a Martini, ma molto probabilmente la scena mitologica di Martini (tav. 36) che un tempo era di proprietà di Burton. Il negativo è andato perduto e non esiste una stampa vintage a I Tatti. Mary sperava che Burton fotografasse un Botticini, cioè la Flagellazione di Cristo (Appendice 10 e Inventario A, 23 di questo saggio), secondo l’attribuzione data all’epoca da Berenson. I numeri dei negativi di Jacquier sono gli ultimi (131-33) del gruppo di negativi di Burton presenti tra i materiali di Jacquier ora al Gabinetto Fotografico e, di fatto, rappresentano l’ultima attività di Burton alla villa prima di partire per l’Egitto. La sua partenza lasciò campo libero al fotografo fiorentino Vittorio Jacquier. L’azienda fotografica della famiglia Jacquier fu creata da Giuseppe (1824-1892), che nel 1865 lasciò la natia Torino per Firenze, dove il 15 maggio dello stesso anno nacque Vittorio che diventò così un esatto coetaneo di Berenson.39 Il padre lasciò probabilmente Torino per seguire la corte sabauda a Firenze, che era appena diventata la nuova capitale. L’azienda, che dal 1887 aveva sede al numero 28 di via Guicciardini,40 non era lontana da via dei Bardi, la strada dove abitavano Cust e Burton. Anche se non abbiamo informazioni su eventuali legami tra i fotografi, è possibile che, data la loro prossimità come vicini di casa e la loro conoscenza con i Berenson, Burton abbia fatto uso dello studio Jacquier, che all’epoca era gestito da Vittorio. Il 13 marzo 1911, esattamente cinque mesi dopo la partenza di Burton per l’Egitto, Vittorio rilasciava a Berenson una dichiarazione manoscritta in cui il fotografo prometteva di conservare scrupolosamente cinquantanove negativi realizzati per Berenson e che sarebbero rimasti di proprietà di Berenson. Inoltre Jacquier dichiarava che avrebbe rifotografato qualsiasi cosa i cui negativi fossero andati perduti o danneggiati.41

I negativi appartengono certamente alla campagna fotografica di Jacquier a I Tatti. Non essendoci una descrizione specifica, è difficile ricostruire con esattezza cosa abbia fotografato, perché continuò a fotografare anche a I Tatti, anche opere che erano entrate nella collezione dopo il marzo 1911.42 Ad eccezione di alcune stampe all’albume, Jacquier fu incaricato da Berenson di realizzare stampe al platino e al carbone. A volte, come documentato dalle ricevute, queste venivano ristampate. L’attenzione alla qualità delle stampe e alla possibilità di confrontare le stampe realizzate con tecniche diverse sottolinea quanto Berenson conoscesse la fotografia e le sue potenzialità. A I Tatti non esiste una serie completa delle stampe originali di Jacquier e Burton. Solo grazie alla donazione di Stuart Denenberg di San Francisco nel 1996 sono state colmate molte perdite. Denenberg acquistò un gruppo di fotografie dal cognato di Berenson, Ralph Burton Perry, professore di filosofia ad Harvard e marito di Rachel Berenson. Ma le stampe iniziarono presto a circolare e Berenson fornì le fotografie della sua collezione agli studiosi che ne facevano richiesta.43

Fig. 6: Cartolina di Vittorio Jacquier con una veduta de I Tatti da sud-est, stampata nel 1928 a partire da una fotografia di Harry Burton del 1908.

Gli anni 1910-11 furono fondamentali per documentare non solo la collezione ma anche la casa e il giardino. Come Mary scrisse alla sorella Alys il 16 settembre 1911, i lavori di ristrutturazione della villa erano finalmente completati. La donna fa i complimenti a Cecil Pinsent per la Piccola Biblioteca e nota con piacere che finalmente nella Biblioteca Grande gli affreschi di Piot sono stati coperti da una tela candida che rifletteva lo splendore bianco e puro delle altre pareti: “Questa volta Cecil ha davvero mantenuto le sue promesse. La nuova biblioteca piccola è un sogno. Logan l’adorerebbe – gli affreschi sono spariti – la casa è pulita e graziosa come un gioiello”. Questi risultati meritavano un’altra campagna fotografica. Il 16 novembre, nel descrivere una giornata tipicamente caotica a I Tatti, Mary accenna alla presenza di due fotografi:

“Questa mattinata è stata impegnata da così tante cose che mi sono sentita come un’ostrica sgusciata. Prima è arrivata la merlettaia che mi ha annoiato a morte cercando di vendermi cose che non volevo. Prima che se ne andasse, l’insegnante di francese di Bessie [Elizabeth, la sorella di Berenson], è passata per porgere i suoi rispetti (e chiedere lavoro), e  si è scontrata con un uomo che aveva un bronzo da vendere, in coincidenza con un mercante con un Fra Angelico autentico. Contemporaneamente due fotografi facevano fotografie, uno in bianco e nero e uno a colori: un uomo studiava i manoscritti persiani di B.B. e alcuni furfanti della peggior specie cercavano di vendermi un cavallo zoppo. Intanto, sono arrivati dei bulbi, molti piselli dolci e rose, un muratore che mi chiedeva cose su degli scalini e un uomo con cornici per quadri. Ho mandato tutti a quel paese.”

Purtroppo non fa i nomi dei fotografi. Forse quello che lavorava in bianco e nero era Jacquier.

Tuttavia, la presenza di un fotografo a colori potrebbe riferirsi a un gruppo di un centinaio di preziose autocromie Lumière in vetro.44 La tecnica, antesignana della fotografia a colori, fu inventata dai fratelli Auguste e Louis Lumière e fu sul mercato dal 1907 al 1935 circa.45

Gli esempi a I Tatti testimoniano l’interesse di Berenson per le nuove tecnologie. Realizzate da fotografi diversi in date diverse, riproducono per lo più i dipinti italiani della collezione, nonché vedute della casa, dei suoi proprietari e del loro entourage. Un gruppo omogeneo di quarantasette autocromie da stereoscopio (lastre di vetro FB356-402; 60 × 130 mm) comprende una fotografia di una giovane Nicky Mariano ritratta insieme a Mary e a Bernard alla scrivania del suo studio (Fig. I.16). La Mariano arrivò come segretaria a I Tatti nel 1919 e, pertanto, l’autocromia deve risalire probabilmente a un periodo compreso tra quell’anno e, molto probabilmente, il gennaio 1920, l’anno indicato come data di scadenza della scatola originale.46 Le uniche che possono essere datate all’incirca all’epoca della lettera di Mary del 1911 sono due lastre di formato diverso che non facevano certamente parte della serie di stereoscopi. Una riproduce il San Sebastiano di Cima da Conegliano (Fig. III.1), acquisita alla fine del 1909, e l’altra la Vergine col Bambino di Foppa, acquisita prima del 1907 (Fig. III.5, lastre di vetro FB B 47; [12 × 8,9 cm] e B 60 [11,6 × 15,8 cm]).

Jacquier lavorò per Berenson anche alle fotografie per le ricerche della critica47 e continuò a realizzare nuove fotografie della collezione e ristampe da negativi già esistenti.48 Una fattura del 14 dicembre 1923 documenta la fornitura di novantadue stampe al platino di 21 × 27 cm da negativi già di proprietà di Berenson e, quindi, probabilmente della collezione d’arte.49 La stessa fattura riporta anche ventuno stampe al platino di 24 × 30 cm da negativi di Berenson, il che potrebbe riferirsi alle lastre di Burton, che erano di quel formato. Sono presenti anche tre negativi di 21 × 27 cm (il formato normale di Jacquier) e relative stampe al platino e al carbone, che indicano una nuova fotografia di un contenitore di bronzo, oggi non identificabile; il “quadretto del Perugino”, che probabilmente è la Pax, ora attribuita a Gerino da Pistoia (tav. 40); e la “testa Mad[onna] Baldovinetti”, quasi certamente un dettaglio della Vergine col Bambino (tav. 31) di Domenico Veneziano.50

 

    

Fig. 7a: Fotografia di Rodolfo Reali del falso toscano della Vergine con il Bambino in trono (tav. 117), allora attribuito a Pietro Cavallini, quando si trovava presso Paolo Paolini a Roma, 1913.

Fig. 7b: Fotografia di Vittorio Jacquier della tav. 117 scattata a I Tatti, dopo il 1913.

Fig. 7c: Autocromia Lumière della tav. 117 scattata a I Tatti, 1919-20.

Il 7 aprile 1924 un’altra fattura di Jacquier riportava le spese per il trasporto dell’attrezzatura e per altre fotografie scattate nella villa, molto probabilmente della collezione: trentacinque negativi di 21 × 27 cm (di cui due di disegni fotografati nel suo studio) e sette negativi di 30 × 40 cm. e, probabilmente sempre della collezione, 257 stampe al platino e carbone.51 In seguito, il 28 marzo 1928, il fotografo emise una fattura a  Berenson per 3.075 cartoline della villa in cartoncino color seppia, ricavati da fotografie de I Tatti, sia di Jacquier che di Burton (Fig. III.6).52 In una distinta di lavori tra il 2 e il 10 maggio dello stesso anno, c’è un’altra fattura per novantanove stampe al carbone e platino, probabilmente della collezione, così come il 2 maggio due negativi e stampe al carbone dei nipoti di Mary (“Nipoti della Sig.ra Mary”), sicuramente ritratti di Barbara e Christopher Strachey eseguiti da Simon Bussy. (Appendice 15 e 16; FB 504921-22).53 Il documento dà quindi l’indicazione della data del 1928 per i due ritratti.54 Nella stessa fattura c’è un altro addebito per un negativo di 24 × 30 cm, “Ritratto d’uomo” di Signorelli, senza dubbio uno dei ritratti di Vitelli, che era già stato fotografato da Burton nel 1910.

Fig. 8a: Fotografia di Rodolfo Reali dell’Adorazione di Gesù Bambino del Bergognone (tav. 11) che documenta i danni causati dalla guerra il 3-4 agosto 1944. Fig. 8b: Fotografia di Rodolfo Reali della tav. 11 durante il restauro di Giannino Marchig, 1945-48 ca.

Sembra che Jacquier abbia rifotografato uno di essi utilizzando il formato più grande precedentemente utilizzato da Burton. A I Tatti si trova anche un gruppo di negativi su lastra di vetro di 24 × 30 cm che potrebbero essere di Reali, tre dei quali sono di dipinti della collezione.56

 Un altro fotografo di cui Berenson si servì nello stesso periodo di Jacquier fu Rodolfo Reali che, insieme al fratello Alberto, lavorò per diversi decenni per Berenson e poi per il Centro di Studi sul Rinascimento Italiano dell’Università di Harvard. L’azienda fiorentina Foto Reali aveva sede in via Santa Reparata 53. I suoi negativi su lastre di vetro di varie dimensioni sono ancora conservate a I Tatti.57 Almeno in un caso, la fotografia di Reali è anteriore a quella di Jacquier: la Vergine col Bambino e quattro angeli (tav. 117), un tempo attribuita a Cavallini e oggi ritenuta per lo più un falso, fu fotografata da Reali  (neg. no. 4; Fig. III.7a) nel 1913 quando il dipinto era ancora nelle mani del mercante e collezionista Paolo Paolini di Roma. È interessante notare che in questa fotografia la mancanza in basso a destra non è visibile e che Gesù Bambino guarda in basso a destra invece che a sinistra, guardando la Vergine come nella foto di Jacquier (J916 / GFS 54.774; Fig. III.7b). Una autocromia Lumière (B 402, scatola 34; Fig. III.7c) scattata nella Biblioteca Grande, probabilmente nel 1919-20,  mostra l’immagine nelle stesse condizioni della fotografia di Jacquier.58

 Il primo documento d’archivio che segnala il rapporto d’affari intercorso tra lo Studio Artistico Fotografico Reali e Berenson segue di pochi giorni la fattura di Jacquier dell’11 dicembre 1919. Il 17, Rodolfo Reali scrive una ricevuta alla signora Berenson per 240 fotografie di “oggetti d’arte antiche [sic]” per 240 lire.59

 

Fig. 9: Fotografia di Conzett e Huber dei dipinti (tavv. 28, 72, 78) sulla credenza dello studio di Berenson, 1954.

Reali lavorò per i Berenson probabilmente a partire dai primi anni ’30, verosimilmente a causa delle lunghe assenze di Jacquier da Firenze.60 Morì nel 1935 a settant’anni. Berenson coinvolse Reali in una nuova campagna. La data esatta non è  nota, ma è probabile che si tratti degli anni ’30 e certamente prima dell’ottobre 1943, quando in seguito all’Armistizio dell’8 settembre un gran numero di quadri furono spostati dalla villa per essere messi in sicurezza. Subito dopo la guerra, Reali fotografò le opere che erano state portate nell’appartamento di Alda von Anrep, sorella di Nicky, e di suo marito, il barone Egbert (Bertie) von Anrep in borgo San Jacopo, vicino al Ponte Vecchio. Questi quadri erano stati danneggiati dalle mine  nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944. Le fotografie sono fondamentali per lo studio dei danni, e Reali ne ha fotografati alcuni anche durante e dopo il restauro, come l’Adorazione del Bambino del Bergognone (Figg. III.8a–b). Le fotografie documentano il miracoloso restauro della collezione, come ad esempio la pala d’altare del Maestro di Signa (tav. 63b-c), che era stata letteralmente ridotta in pezzi. Particolarmente interessante è il caso della Pietà di Biagio d’Antonio (tav.13) che è stata fotografata dopo i danni dovuti alla guerra (FB Reali neg. 59 bis) e dopo il suo successivo restauro. Nella fotografia della tavola danneggiata il paesaggio è lo stesso della fotografia precedente di Jacquier (Jacquier neg. 95 [GFS 54.855]), mentre nella fotografia successiva al restauro, invece, le foglie degli alberi, così come la città con i campanili in stile olandese, appena visibili nella fotografia originale, sono stati accentuati.

Luisa Vertova mi ha gentilmente raccontato che fu grazie alla lungimiranza di Nicky Mariano che Berenson si convinse a continuare a fotografare la sua collezione e Reali fu assunto per documentare le ultime opere arrivate nella villa e le cose minori che non erano state fotografate da Jacquier. Tra i primi ricordiamo Il colloquio di Renato Guttuso (tav. 123; FB Reali neg. 114), donato dall’artista a Berenson nel 1952, e la Madonna che allatta il Bambino del Bergognone (tav.12; FB Reali neg. 113),  che si trovava ancora presso Luigi Albrighi (Fig. 12.1) il 9 gennaio 1952, secondo un’annotazione di Berenson su una fotografia a colori (FB 500266). Reali fotografò anche la piccola Crocifissione con gli strumenti della Passione di Lorenzo Lotto (tav. 57), dono dell’amico di Berenson Alessandro Contini Bonacossi (Fig. 57.3), di cui Berenson possedeva già la fotografia scattata da Carlo Marcozzi (tav. 57a) intorno al 1890 quando era ancora nella collezione Borromeo. L’attuale vetrina in cui è racchiuso il Lotto, tipica del gusto degli anni ’50, è certamente la stessa di quando Contini Bonacossi la donò a Berenson. Le stesse vetrine si trovano a Il Tasso, la casa del grande rivale di Berenson, Roberto Longhi, che viveva dall’altra parte dell’Arno. Si veda, ad esempio, la Vergine col Bambino del Bergognone, donato a Longhi da Contini Bonacossi.61

Oltre a quelle di Reali, ci sono altre fotografie della collezione che sono utili per comprendere lo stato di conservazione. Una fotografia anonima del San Sebastiano di Cima (FB 500525) mostra screpolature della vernice e crepe. Particolarmente eloquenti sono le fotografie (tav. 8c) del trasferimento del dipinto allora attribuito a Giovanni Bellini (e ora alla sua bottega); un’annotazione sul retro di una fotografia indica che il trasferimento è stato eseguito da un “Sig. Genzini”. 62 Il pittore e restauratore Giannino Marchig, che Nicky Mariano descrisse come “un uomo di squisito gusto e sensibilità,” 63 era molto vicino a Berenson e scattò alcune fotografie di questo sfortunato dipinto, per il quale restaurò la superficie dipinta.64 Fu Marchig che restaurò anche le opere danneggiate dalla guerra. Presso I Tatti si trovano 1.342 negativi su lastre di vetro che documentano la sua carriera di restauratore e, in alcuni casi, i suoi stessi dipinti. Affidò l’archivio a Geremia Gioffredi, responsabile del patrimonio di Berenson, e arrivarono a I Tatti tramite la figlia di quest’ultimo, Fiorella Gioffredi Superbi, per molti anni curatrice della fototeca, dell’archivio e della collezione Berenson. Esistono tre negativi di quadri di Berenson scattati dopo il restauro di Marchig: La Vergine col Bambino in trono e i santi Giovanni Battista e Zanobi (tav. 55), la predella di Bernardino Fungai (tav. 37) e il Riposo durante la fuga in Egitto di Paris Bordone. (tav. 17; rispettivamente, FB lastre Marchig 203, 147, e 200). Una stampa alla gelatina d’argento di un fotografo sconosciuto documenta la pulitura della Visione di Santa Caterina da Siena dei santi Francesco d’Assisi, Agostino e Domenico di Neroccio di Bartolomeo de’ Landi (tav. 78), e reca la nota di Berenson secondo cui la pulitura è stata effettuata dal famoso restauratore fiorentino Augusto Vermehren (1888-1978), che era stato il maestro di Marchig. Una fotografia (Fig. III.9) dello studio svizzero Conzett und Huber, datata 1954, mostra il pannello sulla grande credenza dello studio di Berenson accanto a due dipinti tuttora esposti: San Cristoforo di Bernardo Daddi (tav. 28) e San Giovanni Battista di Michele di Matteo (tav. 72). Nella fotografia, quest’ultimo dipinto è appoggiato su una piccola cassetta decorata con putti.

Reali lavorò a I Tatti fino agli anni  ’60.65  Dalla metà degli anni ’70 fino agli anni ’80, il fotografo fiorentino Luigi Artini fu attivo in questa sede e per un periodo ebbe anche una camera oscura sopra la Fototeca. Negli anni Settanta, un altro grande fotografo, Antonio Quattrone, iniziò a lavorare a I Tatti, dove nel 1977-80 realizzò una dettagliata documentazione del restauro del Sassetta condotto da Mary Lou White e Barbara H. Beardsley del Laboratorio di Conservazione dell’Arte di Raymond, New Hampshire (con la supervisione del Fogg Museum dell’Università di Harvard).66  Nel 1975-76 le stesse due restauratrici, insieme a David Kolch, condussero il primo studio di conservazione della collezione, in cui segnarono a penna sulle fotografie di Reali o sulle stampe moderne dei negativi di Jacquier i problemi relativi allo stato dei dipinti. In alcuni rari casi furono utilizzate stampe vintage.67 A partire dal 1999, Quattrone ha intrapreso una campagna completa della collezione, sia in bianco e nero che a colori. Le trasparenze a colori hanno attualizzato le illustrazioni di Conzett e Huber presenti nel catalogo curato da Franco Russoli e pubblicato per la prima volta nel 1962.68 Il servizio fotografico di Quattrone, terminato nel 2004, mostra i dipinti prima della pulitura superficiale di molti di essi eseguita nel 2010-13 da Roberto Bellucci dell’Opificio delle Pietre Dure. L’intervento di Bellucci si è limitato allo sporco superficiale e non alla rimozione di eventuali vernici sottostanti, ed è documentato da fotografie digitali utilizzate in questo catalogo e online dalla società fiorentina Centrica.69 Le fotografie della collezione Berenson non solo documentano le opere d’arte, il loro stato, l’esposizione e l’ubicazione nel corso del tempo, ma permettono anche di seguire l’evoluzione della fotografia d’arte. I vari fotografi hanno spaziato lungo tutta la storia della fotografia. È possibile seguire i progressi della stampa fotografica in bianco e nero: la delicatezza delle stampe all’albume, le calde e intense stampe al carbone, l’ampia gamma di possibilità offerte dalla stampa alla gelatina e, infine, il brusco deterioramento in termini qualitativi della stampa resinata. Per quanto riguarda la fotografia a colori, iniziamo con la stupefacente semplicità materiale dei grani di fecola di patate colorati, utilizzati nelle pionieristiche autocromie dell’inizio del XX secolo, che sembra parallela ai movimenti artistici contemporanei come il Divisionismo e il Puntinismo. Ora la tecnica ha chiuso il cerchio e abbiamo il pixel dell’attuale immagine digitale. Ma come conseguenza della rivoluzione digitale, possiamo forse tenere in piena considerazione l’importanza della fotografia analogica, che era il tema principale di questo saggio. Anche se la fotografia era teoricamente legata al concetto di ripetibilità, come Berenson aveva ben capito, la materialità intrinseca del mezzo non è riproducibile.70 Le fotografie dei dipinti dei Berenson dimostrano che, oltre ad essere dei collezionisti, – loro malgrado – erano anche collezionisti di fotografie della loro collezione. Bernard, con Mary e Nicky al suo fianco, ha creato un archivio di immagini che è un tributo alla storia dell’arte e della fotografia. È un archivio che anche dopo di loro continua a crescere.


Inventario A

Inventario dei negativi su lastre di vetro de I Tatti realizzati da Harry Burton, contenuti nell’Archivio Jacquier e conservati presso il Gabinetto Fotografico della Soprintendenza di Firenze e delle stampe d’epoca da essi tratte, custodite presso la Fototeca Berenson.

Se non diversamente specificato, tutte le iscrizioni sul retro delle stampe e a matita nera sono di Vittorio Jacquier. Le lastre di vetro di Burton misurano 24 × 30 cm.

  1. GFS 52249 (J103): Bernardo Daddi, Crocifissione (tav. 28). FB 500584: gelatina d’argento, 267 × 120 mm, ritoccato, iscrizione in alto a destra: 103; FB 500585: gelatina d’argento, 275 × 121 mm, ritoccata, iscrizione di mano non identificata (come per i FB 501183, 501182, 504617, 504619): Daddi / Crocifissione [sic]; cfr. anche Inventario B, no. 3.
  1. GFS 52250 (J104), danneggiato dall’alluvione: Matteo di Giovanni, Madonna col Bambino e i santi Girolamo e Caterina d’Alessandria e cinque cherubini. (Tav. 67). FB 501631: carbone, 291 × 190 mm, iscr. in alto a destra: 104; cfr. anche Inventario B, n. 10
  1. GFS 52251 (J105): Cosmè Tura, San Pietro e San Giovanni Battista, Filadelfia, Museo d’Arte, Collezione John G. Johnson, cat. 241a, b (Appendice 96). FB 504873: albume, 191 × 244 mm, iscrizione in alto a destra: 105
  1. GFS 52252 (J106): Ambrogio Bergognone, Adorazione di Gesù Bambino (tav. 11). FB 500291: aristotipo, 282 × 214 mm, dono di Stuart Denenberg, 1996, timbro a inchiostro: H. BURTON/ FIRENZE
  1. GFS 52253 (J112): Attribuito a Raffaello del Brescianino, Una giovane donna come Santa Caterina d’ Alessandria (tav. 19). La fotografia (tav. 19a) mostra l’immagine prima di essere ripulita dal ritocco che l’aveva trasformata in un ritratto di donna senza gli attributi della santa. FB 500448: gelatina d’argento, 280 × 195/7 mm, con ritocco dove la vernice si è sfaldata lungo le fessure; sul recto da mano ignota: C18; sul verso a penna da Mary Berenson, parzialmente annullato: Brescianino / Berenson
  1. GFS 52254 (J113 A): Luca di Paolo da Matelica (già attr. Francesco di Gentile), Vergine col Bambino in trono e angeli con Cristo in Pietà, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria. FB 504737 (Appendice 66): gelatina d’argento, 294 × 207 mm; in alto a destra.: 113 A
  1. GFS 52255 (J113 B): Luca di Paolo da Matelica (già attr. Francesco di Gentile), Annunciazione con Dio Padre benedicente, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (Appendice 66). FB 504736: gelatina d’argento, 294 × 201 mm; in alto a destra: 113 B
  1. GFS 52256 (J114), danneggiato dall’alluvione, con etichetta: 603: Cima da Conegliano, San Sebastiano (tav. 24). Non ci sono stampe d’epoca nella Fototeca Berenson.
  1. GFS 52257 (J115): Cosimo Rosselli, Vergine col Bambino, Baltimora, Walters Art Museum, no. 37.518 (Appendice 90). FB 504854: albume, 296 × 213 mm; in alto a destra: 115; in alto a sinistra di mano ignota a penna: Cosimo Roselli [sic]
  1. GFS 52258 (J116): Matteo di Giovanni, Conversione di Sant’Agostino (tav. 66). FB 500537: albume, incollata su cartone, 280 × 235 mm; recto a penna di mano ignota: 24. FB 500536: carbone, 280 × 242 mm, con note a penna a sfera sul suo stato di conservazione, 1976; in alto a destra: 116. FB 500538: gelatina d’argento, 287 × 244 mm, in alto a destra: 116; cfr. anche Inventario B, n. 11
  1. GFS 52259 (J117): (lastra rotta): Vincenzo Foppa, Vergine dell’Umiltà con angeli (Madonna della siepe) (tav. 33). FB 500753: albume, incollato su cartoncino, 232 × 256 mm, ritocco nel manto della Vergine; sul recto in basso, scritto a penna, probabilmente da Mary Berenson: 2
  1. GFS 52260 (J118): Benvenuto di Giovanni, Cristo morto sorretto da due angeli nel Sepolcro (tav. 10). Non ci sono stampe d’epoca nella Fototeca Berenson; cfr. anche Inventario B, n. 1.
  1. GFS 52261 (J119): Bottega di Agnolo Bronzino, Ritratto di bambino, Baltimora, Walters Art Museum, no. 37.451 (Appendice 11). FB 504619: albume, 277 × 238 mm, ritoccata sullo sfondo a destra; in alto a destra: 119; sopra di mano anonima (come FB 500585, 501183, 504617): Bronzino.
  1. GFS 52262 (J120): Senese, fine XV-inizio XVI secolo (già attr. Andrea Vanni), Vergine col Bambino (tav. 108). FB 501225: albume, 285 × 227 mm; in alto a destra: 120.
  1. GFS 52263 (J121): Filippo Mazzola (già attr. Giovanni Martini da Udine), Il Cristo morto sorretto dagli angeli, Baltimora, Walters Art Museum, no. 37.1056 (Appendice 75). FB 504819, gelatina d’argento, 220 × 290 mm, iscr. sul recto in alto a destra: 121. La Fototeca Zeri possiede una stampa alla gelatina d’argento dell’immagine con il timbro di Harry Burton (voce 59818; foto n. 69267).
  1. GFS 52264 (J122): Jacobello del Fiore, Vergine col Bambino (tav. 48). FB 501182: gelatina d’argento, 288 × 210 mm, ritocco sul manto della Vergine; sul verso in alto scritto da Mary Berenson: Jacobello del Fiore B.B. / negativo di Burton. FB 501183: albume, 292 × 211 mm; in alto a destra: 122 (cancellato); di mano non identificata: 59; in alto a sinistra a penna, di mano non identificata: 36 (cancellato) e 34; di un’altra mano (cfr. la stessa di FB 500585, 504617, 504619): Jacobello del Fiore; cfr. anche Inventario B, n. 8
  1. GFS 52265 (J125a): Veduta della Biblioteca Grande, I Tatti, circa 1911 (Fig. III.3). Non ci sono stampe d’epoca nella Fototeca Berenson.
  1. GFS 52266 (J127): Marco di Paolo Veneziano (attr. a Gentile da Fabriano nell’elenco di Mary Berenson e nelle annotazioni di Nicky Mariano sull’inventario Jacquier), San Francesco d’Assisi (tav. 58). FB 501352: gelatina d’argento, 290 × 150 mm, ritoccata, mostra il quadro senza cornice; in alto a destra: 127
  1. GFS 52267 (J128): Bartolomeo Bulgarini o bottega, Vergine dell’Umiltà (tav. 22). FB: 500156: gelatina d’argento, 289 × 166 mm, ritocco sul manto della Vergine; timbro: H. Burton / Firenze; scritto a penna probabilmente da Mary Berenson: 47; cfr. anche Inventario B, n. 2. 20–22. GFS 52268–70 (J129a–c): Giavanese, Testa di Buddha (Fig. III.2). Non ci sono stampe d’epoca nella Fototeca Berenson.
  1. GFS 52271 (J131): Francesco Botticini, La Flagellazione di Cristo, collocazione attuale sconosciuta (Appendice 10). FB 504617: gelatina d’argento, 240 × 280 mm, ritocco sullo sfondo; in alto a destra: 131; in alto a sinistra a matita nera da una mano non identificata (la stessa di FB 500585, 501183 e 504619): Botticini

 

  24.GFS 52272 (J132), perduto: Francesco di Giorgio Martini, Il volo dei servitori di Elena (tav. 36). Non ci sono stampe       d’epoca nella Fototeca Berenson. Esistono stampe moderne eseguite prima della perdita della lastra durante l’alluvione del     1966; cfr.anche Inventario B, n. 6.

  1. GFS 52273 (J133), perduto: Luca Signorelli, Camillo Vitelli (tav. 96b). FB 502022: gelatina d’argento, 276 × 218 mm. FB 502023: gelatina d’argento, 275 × 218 mm; cfr. anche Inventario B, n. 13.
  1. GFS 52274 (J134): Luca Signorelli, Vitellozzo Vitelli (tav. 96a). Non ci sono stampe d’epoca nella Fototeca Berenson; cfr. anche Inventario B, n. 14.
  1. GFS 52275 (J135): William Rothenstein, Bernard Berenson (tav. 145). FB 501935: gelatina d’argento, 260 × 236 mm; in alto a sinistra scritto a matita nera da Nicky Mariano: 1907

Inventario B

Elenco di alcune fotografie di Harry Burton della collezione Berenson nell’archivio fotografico di Frederick Mason Perkins (Assisi, Collezione Ennio Riccardi).

Un asterisco (*) indica che è presente una nota manoscritta di Frederick Mason Perkins

o di altri che specificano che la foto è di Harry Burton. Non è stato possibile consultare

l’intero archivio, pertanto questo elenco è incompleto.

  1. Benvenuto di Giovanni, Cristo morto sostenuto da due angeli nel sepolcro (tav. 10)*
  1. Bartolomeo Bulgarini o bottega, Vergine dell’Umiltà (tav. 22)*
  1. Bernardo Daddi, Crocifissione (tav. 28a); timbro a inchiostro sul retro: H. BURTON /FIRENZE
  1. Bottega di Bernardo Daddi, Vergine col Bambino, Baltimora, Walters Art Museum, n. 37.553 (Appendice 24); timbro a inchiostro sul retro: H. BURTON / FIRENZE; cfr. il saggio di Pagliarulo, n. 27.
  1. Bernardo Daddi, Vergine e Bambino con Cristo benedicente, Cambridge, Massachusetts, Fogg Museum, n. 1923.35 (Appendice 26); cfr. il saggio di Pagliarulo, n. 27.
  1. Francesco di Giorgio Martini, Il volo dei servitori di Elena (tav. 36)*
  1. Gentile da Fabriano, Vergine col Bambino (tav. 39); in basso a destra: timbro in rilievo: BURTON E C.° / [FIRENZE]
  1. Jacobello del Fiore, Vergine col Bambino (tav. 48)*
  1. Matteo di Giovanni, Un apostolo (tav. 65); in basso a destra: timbro in rilievo: BURTON E C.° /FIRENZE*
  1. Matteo di Giovanni, Vergine col Bambino e i santi Girolamo e Caterina d’Alessandria e cinque cherubini (tav. 67); in basso a destra: timbro in rilievo: BURTON E C.° / FIRENZE
  1. Matteo di Giovanni, Conversione di sant’Agostino (tav. 66 e cfr. Inventario A, n. 10).
  1. Collaboratore di Simone Martini e Lippo Memmi, Santa Lucia (tav. 68b); in basso a destra: timbro in rilievo: BURTON E C.° / FIRENZE
  1. Luca Signorelli, Camillo Vitelli (tav.. 96b)*
  1. Luca Signorelli, Vitellozzo Vitelli (tav. 96a)*
  1. Ugolino di Nerio, San Tommaso Apostolo (tav. 101), in basso a sinistra: timbro in rilievo: BURTON E C.° / FIRENZE

NOTE FINALI

Ringrazio Marilena Tamassia, direttrice del Gabinetto Fotografico della Soprintendenza di Firenze, per la sua apertura verso questa ricerca e per il ricco scambio di idee.

Ringrazio di cuore anche Roberto Bellucci, Stefano Bozolo, Ilaria Della Monica, Elizabeth Fleming (Archivio dell’Istituto Griffith), Cecilia Frosinini, Fiorella Superbi Gioffredi, Spyros Koulouris, Cinzia Nanni, Gianna Nunziati, Alexandra Provo, Tiziana Resta, Ennio Riccardi, Emanuela Sesti, Elena Stolfi, Luisa Vertova Nicolson e Sanne Wellen per il loro impagabile aiuto. Un ringraziamento particolare a Machtelt Brüggen Israëls e Carl Brandon Strehlke per la loro generosità nel condividere informazioni e fornire la loro preziosa assistenza.

  1. Berenson 1949, pag. 132.
  1. Berenson 1949, pag. 133.
  1. Sul fotografo, cfr. Tamassia 1995 e 2003.
  1. Per Pinsent, cfr. Clarke 1998, e per Scott, cfr. Dunn 1996 e Galletti 1996.
  1. Su di essi sono spesso riportate note – per lo più di mano di Mary – sulla provenienza, l’attribuzione e lo stato di conservazione. Si vedano le voci relative alle tavole 10, 11, 15, 18, 33 e 56.
  1. Tamassia 1995, pag. 11. Circa 1.500 tavole, tra cui alcune della collezione Berenson, sono andate perse nell’alluvione del 1966.
  1. Archivio della Biblioteca Berenson, “Documentazione della Collezione d’arte: Elenco di Fotografie della Collezione d’Arte e della Villa”, senza data. L’elenco è composto da sette pagine numerate da 2 a 8. La prima pagina è mancante. L’elenco è diviso in tre colonne: la prima con i numeri negativi, la seconda con i nomi degli artisti in ordine alfabetico e la terza con i titoli. L’elenco non è completo. Mary l’ha annotata con le ubicazioni dei dipinti che non sono più presenti nella collezione, e Nicky Mariano l’ha successivamente completata.
  1. Su Harry Burton, cfr. Hill 1991; Burton e Allen 2006; e Schwarz 2007. Circa 1.400 negativi su lastre di vetro eseguiti da Burton in Egitto sono conservati al Metropolitan Museum of Art di New York e al Griffith Institute di Oxford.
  1. Cust ha pubblicato libri sui maestri pavimentatori del Duomo di Siena, sul Sodoma, Botticelli, Leonardo e Cellini, nonché le traduzioni dell’autobiografia di Cellini e delle monografie di Pompeo Molmenti e Gustav Ludwig sul Carpaccio.
  1. Cust dedicò The Pavement Masters of Siena (I maestri del pavimento di Siena) (1901) a “H.B.”, senza dubbio Harry Burton, che viene ringraziato anche nella prefazione, datata Firenze 14 febbraio 1907, per la traduzione della monografia sul Carpaccio. Nella monografia sul Sodoma (1906), Cust ringrazia sia Bernard che Mary (come Mary Logan) e, in particolare, Burton: “Infine, devo ringraziare, con il dovuto apprezzamento e gratitudine, Henry Burton, la cui parte di lavoro, fisico, mentale e meccanico che ha comportato la raccolta del materiale e la sua preparazione per la stampa, non è stata di poco conto”. La copia del libro che si trova a I Tatti presenta correzioni da parte di Mary sui numeri di inventario (pp. 353-55). La biblioteca Berenson non possiede i libri di Cust su Botticelli, Leonardo e Cellini, ma ha la ristampa del suo articolo sul primo maestro di Sodoma dal Bullettino senese di storia patria (vol. XI, nn. 1-2, 1904), con una dedica a penna ai Berenson. Bernard lo ha archiviato sotto il pittore piemontese Giovanni Martino Spanzotti, e vi si trovano note di Mary.
  1. La carta intestata della lettera del 10 agosto 1902 riporta il numero 27, ma su una lettera probabilmente dello stesso anno datata 17 agosto, Cust ha corretto a penna il numero in 21.
  1. L’anno non è indicato, ma poiché è datata 10 agosto, l’anno deve essere il 1902, visto che ci sono riferimenti al recente crollo del campanile di San Marco a Venezia, avvenuto il 14 luglio, e alla morte di un certo signor Ross,  sicuramente il vicino di casa dei Berenson, Henry Ross, che morì nel 1902. Cust e Burton facevano parte dell’entourage di Berenson come si legge in una lettera del 17 agosto, anch’essa senza indicazione dell’ anno, in cui Cust riferisce a Berenson che Edmund Houghton, l’esteta inglese, residente a Firenze e fotografo, “ha cenato con noi ieri sera e la sera prima”.
  1. Hill 1991, pag. 28.
  1. Sulle sue fotografie compaiono diversi timbri. Un timbro in rilievo riporta H. BURTON / 21 VIA DEI BARDI / FIRENZE. Altri timbri – inchiostrati o in rilievo, riportano: H.BURTON /FIRENZE o BURTON & C°. / FIRENZE.
  1. Nelle lettere non sono indicati gli anni, ma possono essere dedotti da elementi all’interno. Cfr. la nota seguente.
  1. Il Gaudenzio Ferrari di Ethel Halsey è uscito nel 1904, suggerendo il 1903 come data della lettera di Cust. George Charles Williamson era l’editore della serie pubblicata da George Bell and Sons di Londra. Cust ha collaborato a questa serie, ma Douglas, riferito a Robert Langton Douglas, non sembra aver mai realizzato un libro su Gozzoli per la collana. Nel 1903 Cust si schierò dalla parte di Berenson in una disputa con Douglas, pubblicando due lettere nell’aprile e nel giugno del 1903 sul Burlington Magazine in cui criticava i “gravi errori di Douglas nell’uso dei documenti nella sua Storia di Siena” uscita l’anno precedente. Samuels 1979, pp. 395–96. Il riferimento ai “peccati dell’Europa” è un commento sarcastico su Douglas, che aveva appena rinunciato a una cattedra ad Adelaide, in Australia, ed era tornato in Europa. Questo è stato riferito da Cust nella già citata lettera del 10 agosto 1902.
  1. L’appellativo “the Cracrofts” si riferisce alla protetta di Mary, la pianista inglese Mary Cracroft che veniva spesso citata nei diari di Mary. Il plurale probabilmente includeva anche la madre della Cracroft. Cfr. Samuels 1979, pag. 354. James Kerr-Lawson e sua moglie vivevano nella vicina Casa Boccaccio. La Fototeca Berenson contiene diverse fotografie di opere possedute un tempo. Cruttwell è Maud Cruttwell, la storica dell’arte inglese, che fu la governante di Mary quando alla fine del 1894 si trasferì alla Villa Rosa a San Domenico di Fiesole. Samuels 1979, pag. 189. Nel febbraio 1901, Leo Stein scrive alla sorella Gertrude a proposito della Cruttwell e delle serate musicali dai Berenson: “L’altro giorno, dai Berenson, ho incontrato Miss C[ruttwell]… È una di quelle donne inglesi dal viso arrossato e dalla fronte corrucciata, di età incerta, che si potrebbero mettere sul palcoscenico come tipo di inglese senza ulteriori trucchi. Lassù c’era una festa, tutti pazzi ad ascoltare una ragazza che suonava Bach, e tra l’altro suonava molto bene”. Samuels 1979, pag. 354.
  1. Berenson 1893, pag. 347, ristampato in Roberts 1995, pag. 131.
  1. Il dipinto di Platt è stato per un periodo in prestito e in seguito lasciato in eredità al Museo d’Arte di Princeton. (n. y1962-56).
  1. Un anno dopo il matrimonio, Cust dedicò la sua traduzione del Vittore Carpaccio di Molmenti e Ludwig alla moglie. Burton si sposò molti anni dopo a Londra, nell’estate del 1914, con Minnie Duckett Young, inglese, divorziata, i cui genitori, William Morton e Sarah Ann Duckett, avevano “fatto la loro casa principale a Firenze” a Villa Bertania a Poggio Imperiale. Hill 1991, pag. 28.
  1. Una lettera datata 18 aprile 1894, che Davis scrisse a Berenson da Newport, parla dell’acquisto di un dipinto di Moroni, la Badessa Lucrezia Agliardi Vertova, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art (n. 30.95.255). Davis scriveva: “Mio caro signor Berenson, la sua lettera molto interessante a proposito del ‘Moroni’ è  regolarmente giunta a destinazione. Non conosco alcun modo in cui la differenza nelle iscrizioni latine potrebbe essere spiegata in modo più soddisfacente, né vedo come si possa offrire una prova migliore della sua autenticità. In ogni caso il quadro è un grande lavoro e mi entusiasma ogni giorno di più. Confesso di attendere l’arrivo del nuovo quadro con ansia e piacere. Spero che sia bello come lo dipinge la mia fantasia. La fiducia cieca che ho nel vostro giudizio e nel vostro gusto mi fa ben sperare”. Nella stessa lettera aggiungeva molti complimenti a Berenson per il suo primo libro, I pittori veneziani del Rinascimento. “A proposito, il vostro libro “I pittori veneziani” è veramente delizioso. Mi è piaciuto molto e non solo l’ho ‘raccomandato’ ai miei amici, ma ho finito i soldi per comprarlo e spedirglielo. Putnam mi dice che è stato ben accolto ed è un successo, e questa dovrebbe essere per voi una piacevole notizia”. Su Davis e Berenson, cfr. Hill 1991, pag. 27.
  1. Schwarz 2007.
  1. Una lettera da Siena del 21 aprile indirizzata a Bernard Berenson deve essere del 1916, perché Cust parla della morte di Herbert Horne, avvenuta il 14 aprile. Altre lettere del 15 e 17 aprile parlano del loro viaggio a Siena, dove soggiornarono in via Sallustio Bandini 19. Rientrarono a Firenze il 25.
  1. Carter 1927-33. Berenson possedeva l’edizione tedesca pubblicata da F. A. Brockhaus.
  1. Parzialmente citato da Samuels (1987, pp. 417-18) senza il riferimento a Burton.
  1. La sezione di arte egizia della Fototeca Berenson comprende anche tre stampe precedenti di bassorilievi probabilmente da negativi di Burton provenienti da Deir el-Bahari e dalla tomba 55 di Ramose TT55. Nicky Mariano (in Russoli 1962, pag. 18) ha segnalato particolarmente l’interesse di Berenson per la pittura egizia.
  1. Vergine col Bambino e quattro angeli di Giovanni Boccati (tav.14; FB 500340, 278 × 190 mm; dono di Stuart Denenberg, San Francisco); Vergine col Bambino, bottega di Bernardo Daddi, ora a Baltimora (Appendice 24; FB 504665, 274 × 189 mm; FB 504666, 275 × 181 mm); Vergine col Bambino e Cristo benedicente, di Daddi, ora a Cambridge, Mass. (Appendice 26: FB 504671, 290 × 117 mm; FB 504677, 292 × 118 mm; FB 504682, 293 × 116 mm); Adorazione di Gesù Bambino del Bergognone (FB 500291, 282 × 214 mm); e la Vergine dell’umiltà di Bulgarini o della bottega (tav. 22; FB 500156, 288 × 166 mm). L’ultima è una stampa alla gelatina ritoccata. Alcune di queste fotografie sono pervenute alla Fototeca nel 1996 tramite Stuart Denenberg. Queste comprendono anche le stampe alla gelatina di Jacquier del Boccati (FB 500341–42) e al carbone (FB 500344), che provengono dal negativo di Jacquier no. 26 (GFS 54.869), e al carbone del Bergognone (Jacquier neg. 34; FB500293–94; rispettivamente, 248 × 192 mm e 245 × 190 mm). Un confronto tra i due fotografi mostra l’attenzione che Burton dedicava all’uniformità della luce, mentre Jacquier creava un’immagine con maggior contrasto, potenziato anche dalle possibilità drammatiche della stampa al carbone, e ha lasciato l’ombra proiettata dalla cornice in basso.
  1. Burton eseguì anche diverse foto della villa, una delle quali è stata scattata da sud-est e successivamente trasformata in cartolina postale. Mentre Nicky Mariano ha scritto “1902” su una stampa di questa veduta (Fig. III.6), sembra che altre fotografie risalgano in realtà al 1910, o poco dopo, compresa una che mostra la biblioteca da nord-est e un’altra che mostra la casa del giardiniere, entrambe progettate da Pinsent. Mary parla di queste fotografie nelle lettere alla madre di Bernard l’8 e il 16 ottobre 1910, e in questa ultima parla delle fotografie del Signorelli, che Sir Charles Holroyd, direttore della National Gallery di Londra, aveva ammirato quando aveva cenato lì la sera prima e aveva detto che “le avrebbero sicuramente comprate per la National Gallery qualora avessimo voluto venderle”
  1. Il formato 24 × 30 cm non compare in nessuno dei cataloghi commerciali di Vittorio Jacquier esistenti dal 1914 al 1930 che ho potuto consultare alla Biblioteca di Storia della Fotografia Fratelli Alinari di Firenze, Biblioteca Malandrini (nn. 3236 e 3234). Cfr. anche Tamassia 2003, pag. 4.
  1. Samuels 1987, pag. 97 e Roberts 1991, pag. 96 cat. 36.
  1. Galletti 1996, pag. 63. È tradizionalmente conosciuta come la Grande Biblioteca e ora è chiamata Sala di lettura Berenson.
  1. Anche questi sono nel formato 24 × 30 cm. A I Tatti alcune stampe di questi negativi indicano che sono effettivamente di Burton. Per esempio, le stampe dai cinque negativi della predella di Matteo di Giovanni nel museo di Borgo San Sepolcro, un tempo nella locale chiesa di San Giovanni Battista in Val d’Afra, hanno il timbro ovale di Burton (H.BURTON / 21 VIA DEI BARDI / FIRENZE). Due di questi negativi (GFS 52241 [J38] e 52242 [J39]) sono riprodotti da Tamassia (1995, pagg. 41-42) come di Jacquier. Federico Zeri possedeva cinque stampe alla gelatina d’argento di Burton, che riproducono, rispettivamente, la Santa Apollonia del Maestro di Staffolo, già a Boston, collezione Horace Morison (Fototeca Zeri, scheda 19139, foto 51412); Vergine col Bambino di Andrea Delitio, ora ad Assisi, Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco, Collezione Frederick Mason Perkins, ma in precedenza nella collezione Arnaldo Corsi di Firenze e nella Galleria Sangiorgi di Roma (Fototeca Zeri, scheda 21069, foto 54206); Vergine col Bambino di Pier Maria Pennacchi, a Faulkner, Maryland, Casa di riposo Loyola (Fototeca Zeri, scheda 64520, foto 23537); Vergine col Bambino, San Giovannino e San Francesco di Assisi di Fra Girolamo da Brescia, già ad Assisi, F. M. Perkins (Fototeca Zeri, scheda 42310, foto 99616); e Il Cristo morto sorretto dagli angeli di Filippo Mazzola, Baltimora, Museo d’arte Walters (Fototeca Zeri, scheda 59818, foto 69267; Appendice 75 e Inventario A, 15 del presente saggio). Alcune fotografie della Fototeca Zeri presentano un timbro circolare diverso da quelli trovati nella Fototeca Berenson.
  1. Perkins 1907a, pag. 120.
  1. Perkins 1908, pp. 4–8.
  1. Perkins 1913a, pp. 38–39.
  1. Sul retro di entrambe le fotografie, Perkins ha annotato: “scattate per me da Burton – ca. 1901.”
  1. Due negativi del Gabinetto Fotografico (nn. 95012 [Camillo]) e 95013 [Vitellozzo]) furono realizzati quando i ritratti furono esposti alla mostra monografica del Signorelli tenuta a Cortona e a Firenze nel 1953.
  1. Una stampa vintage è una stampa realizzata dal fotografo o sotto la sua stretta supervisione poco dopo l’esposizione o lo sviluppo del negativo da cui è stata ottenuta la stampa.
  1. Su Giuseppe Jacquier e l’azienda, si veda Tamassia 2003.
  1. Tamassia 1995, pag. 12.
  1. Due delle stampe allegate all’elenco potrebbero essere le stampe all’albume firmate e numerate (FB 501806-7; Jacquier 37-38) delle lunette di Piot (tav. 142). Le fotografie mostrano una precedente esposizione delle sculture nella biblioteca.
  1. Tamassia 2003, pp. 12–13, 52–53, 58–59.
  1. Osvald Sirén chiese una fotografia della Deposizione (Pl. 44) attribuita a Giotto. Pagliarulo 2011, pp. 188-90. Un altro esempio è Henry Clifford, curatore dei dipinti del Philadelphia Museum of Art, che dal 1928 con la moglie Esther (nata Rowland), una medievalista, viveva saltuariamente a Villa Capponi al numero 3 di Pian dei Giullari. Tra le fotografie un tempo di sua proprietà, ora a I Tatti, c’è una stampa della Vergine col Bambino di Michele Pannonio (tav. 84; FB no. 500696). In una lettera inviata da I Tatti a Bernard, datata 29 ottobre 1910, Mary riferisce di aver dato a Edward W. Forbes, direttore del Fogg Museum, “le foto della maggior parte dei nostri quadri”.
  1. Le autocromie sono elencate nel 1942 (Inventario 1942, pag. 14) come collocate sotto una panca nel corridoio est della villa. Esiste anche un inventario dattiloscritto dei 36 contenitori.
  1. Il brevetto dei fratelli Lumière risale al 17 dicembre 1903. Il metodo prevedeva un processo additivo di mosaico colorato su lastra, in cui un rivestimento di un mosaico di grani di fecola di patate tingeva una variante dei tre colori primari sotto un rivestimento di emulsione. Cfr. Scaramella 1999; Cartier Bresson 2008; e Lavedrine e Gandolfo 2009.
  1. Le lastre sono contenute in tredici scatole originali con le date di scadenza del gennaio e del settembre 1920. Dieci delle tredici scatole sono etichettate “Lumière & Jougla, Lione”, il che significa che sono tutte successive al 1° aprile 1911, quando la ditta Lumière si fuse con Joseph Jougla.
  1. Prima del 1917 Vittorio collaborò alla vasta campagna fotografica nel Veneto e nel Friuli finanziata da Berenson e alla quale parteciparono anche Alinari, Anderson e altri fotografi. Tamassia 1995, pp. 14, 26-27. Recentemente, Spyros Koulouris è riuscito ad accertare che anche Harry Burton era coinvolto. Ottantaquattro lastre di 21 × 27 cm della campagna sono conservate nel fondo Jacquier del Gabinetto Fotografico. L’inventario manoscritto dei negativi mostra che i negativi delle fotografie  scattate nell’Italia del nord si alternano con quelle realizzate a I Tatti, a indicare una certa contemporaneità dei due progetti.
  1. Non ci sono altri documenti dopo il 1911 fino al 13 dicembre 1919, quando Jacquier fattura a Berenson 225 stampe al carbone di Anderson a 3.5 lire ciascuna e 7 stampe Alinari al platino a 1,5 lire italiane ciascuna, tutte di 20 × 26 cm. Questo dimostra che le stampe al carbone costano più del doppio di quelle al platino. Nel 1930, secondo il catalogo della ditta Jacquier, le stampe al carbone erano salite a 10 lire italiane e quelle in platino a 3 lire italiane.
  1. Abbastanza stranamente, non c’è traccia di stampe al platino di Jacquier nella Fototeca Berenson. Il platino era il processo di stampa più costoso, e dopo la Prima Guerra Mondiale fu sostituito dal meno costoso palladio. Nelle ricevute di Jacquier, il costo di una cosiddetta stampa al platino era di un terzo di una al carbone. Le stampe che possono essere ragionevolmente identificabili come quelle citate nelle ricevute sono in realtà stampe alla gelatina d’argento.
  1. Si tratta certamente di Jacquier no. 96 A (GFS 54929), realizzato qualche tempo dopo la fotografia dell’intero dipinto (Jacquier n. 36, GFS 54928). Nella Fototeca Berenson è conservata una vecchia stampa del negativo 96A (FB 500645; 255 × 200 mm), dalla quale si evince chiaramente che la fotografia non è stata scattata a partire dal dipinto, ma piuttosto da un’altra fotografia il cui negativo è andato perduto, ma di cui esistono due stampe aristotipo (FB 500646 [292 × 242 mm] e 500647 [287 × 234 mm]). Le dimensioni delle due stampe suggeriscono un negativo di 24 × 30 cm, che è il formato utilizzato da Burton. Si noti che mentre le stampe fotografiche sono misurate in altezza prima che in larghezza in millimetri, i negativi su lastra di vetro vengono misurati in larghezza prima che in altezza, in centimetri. Esiste anche un aristotipo (FB 500648; 290 × 217 mm) del Domenico Veneziano montato su tela con iscrizioni a matita sul retro, che corrisponde a una lastra di vetro a I Tatti (B 93; 299 × 237 mm) di formato 24 × 30 cm, negativo dello stesso formato dei particolari del capo della Vergine. Si tratta probabilmente di Burton, il suo negativo dell’intero dipinto è rimasto a I Tatti mentre quello del dettaglio è andato perduto.
  1. Tamassia 2004, pp. 9, 17 n. 5.
  1. Tamassia, 2003, pag. 8.
  1. Stampa alla gelatina d’argento di Jacquier (FB 503156; 200 × 190 mm) del ritratto di un’altra nipote di Bussy, Ann Stephen (Appendice 14).
  1. Una fotografia dei bambini scattata nell’estate dello stesso anno a Fernhurst, nel Sussex, dove avevano vissuto i genitori di Mary, conferma ulteriormente la data. Strachey e Samuels 1983, illustr. a fronte pag. 225.
  1. Il costo di 100 lire italiane per il negativo 24 × 30 cm del 1928, se confrontato con le 70 lire italiane per un negativo di 21 × 27 cm nella stessa fattura, esclude la possibilità di due negativi diversi. Jacquier, infatti, ha scritto chiaramente “1 Negativa 24 × 30”.
  1. La proprietà dei negativi su lastra di vetro dei dipinti della collezione Berenson realizzati da Rodolfo e Alberto Reali e depositati da Berenson presso di loro è stata acquisita dalla Fototeca Berenson il 23 marzo 1970. La più importante collezione di negativi di Reali si trova presso il Dipartimento delle Collezioni di Immagini della National Gallery of Art, Washington, D.C. Una selezione di oltre 3.000 immagini può essere consultata all’indirizzo http://library.artstor.org/biblioteca/collezione/nga_fotoreali. Molti negativi documentano importanti collezioni italiane come quelle di Harold Acton, Vittorio Cini, Alessandro Contini Bonacossi, Luigi Grassi e Eugenio Ventura. Cfr. Meloni Trkulja 1995.
  1. La data della fotografia di Reali è riportata sul retro della stampa (FB 502119) e nell’ “Elenco delle fotografie della Collezione Berenson”, dove è descritta come una “vecchia foto del 1913”.
  1. Secondo la sua carta intestata, lo studio, allora noto come A. Reali, con sede in via Nazionale 23, era specializzato nella fotografia di opere d’arte e nei processi ortocromatici e al carbone.
  1. È stato a Genova dal 17 ottobre 1920 al 23 gennaio 1931, a Viareggio dal 22 maggio al 5 dicembre 1931, e di nuovo a Genova dal 26 marzo 1932 all’8 dicembre 1934. Tamassia 1995, pp. 12, 17 n. 9.
  1. Fondazione Roberto Longhi 1980, pag. 256 cat. 49.
  1. Forse Mario Gensini (ca. 1908-1975), restauratore fiorentino con casa/studio in via dei Serragli.
  1. Mariano 1966, pag. 234.
  1. Per Marchig, cfr. Ragionieri 1994 e, in particolare, pp. 11, 29-40, per il suo rapporto con Berenson. Per la sua attività di restauratore, si veda Roberto Bellucci, “Nota su Giannino Marchig restauratore”, in Ragionieri 1994, pp. 86-88.
  1. I cinque negativi di Reali (FB Reali neg. B 313-17) del Sassetta sono datati 31 maggio 1967.
  1. Israëls 2009, vol. II, pp. 456–57, 463, 482–84.
  1. Ad esempio, la stampa al carbone di Burton (FB 500536) della Conversione di Sant’Agostino di Matteo di Giovanni (tav. 66).
  1. Secondo Nicky Mariano (in Russoli 1962, pag. 19), il lavoro preparatorio per le illustrazioni del catalogo fu realizzato nell’estate del 1956. Fra gli altri che hanno fotografato i pezzi della collezione: Alinari, Marcello Bertoni, Nicola Grifoni, Ralph Lieberman, Photo Nimatallah, Nicolò Orsi Battaglini, Ghigo Roli e Scala.
  1. Sebbene Berenson (1948, pp. 205-07) fosse scettico nei confronti della fotografia tecnica quando si trattava di attribuzione, nella Fototeca ci sono circa sessanta radiografie e molte stampe di radiografie. Probabilmente sarebbe stato interessato alla tecnica sviluppata in seguito, la riflettografia all’infrarosso, che consente di leggere gli strati sottostanti la superficie pittorica e, in particolare, il disegno preparatorio. In effetti, sembrano rispondere ai suoi dubbi sui limiti della radiografia a raggi X: “Ammettiamo che i vari raggi possano essere utili per gli studenti di tecnica, pulitura e restauro; è improbabile che siano di serio aiuto per stabilire l’autenticità o per analizzare un’ opera d’arte come creazione o per rivelare come è stata concepita dal suo autore e come è stata portata a compimento. Questo deve essere fatto principalmente, se non esclusivamente, attraverso l’esame dei suoi disegni. Perché i raggi possono solo penetrare. Non possono staccare strato dopo strato e stenderli davanti ai nostri occhi come se fossero schizzi accostati l’uno all’altro” (pp. 205-06). A I Tatti ci sono state diverse campagne. Nel 1988 è stata radiografata la Deposizione di Giotto; nel 1993 l’Opificio delle Pietre Dure ha effettuato la riflettografia a infrarossi e la fotografia a ultravioletti di San Pietro e Giacomo il Grande di Gentile da Fabriano (tav. 38); e nel 1997 Maria Celia Galassi ha curato la fotografia all’infrarosso della Vergine dell’Umiltà e angeli di Foppa e della Vergine col Bambino di Domenico Veneziano. Più recentemente, l’Opificio delle Pietre Dure ha condotto numerosi studi tecnici, a partire dal 2005 con le tavole della pala d’altare del Sassetta a San Sepolcro.
  1. “Più fotografie dello stesso oggetto meglio è. Ognuna contribuisce con qualcosa di proprio, anche le stampe dello stesso negativo che dovrebbero essere identiche”. Berenson 1948, pag. 204.