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Il San Giovanni Evangelista ed il San Michele

dipinti dal Pontormo per la chiesa

di San Michele a Pontormo presso Empoli

di Odoardo H. Giglioli

 

Jacopo da Pontormo, San Giovananni Evangelista e San Michele Arcangelo

 

da Rivista d’Arte, 1905

 

Sono lieto di presentare le prime fotografie di queste pregevolissime pitture che rivelano tutto lo stile caratteristico dell’artista simpatico e geniale: su di esse non conosciamo che il ricordo Vasariano giacché manca in proposito qualsiasi documento.

Secondo lo storico aretino sarebbero state eseguite dopo il 1516, cioè dopo l’affresco del chiostro della SS. Annunziata, e le tavole, l’una allogatagli da Francesco Pucci per la cappella di San Michele Visdomini in Via dei Servi a Firenze, l’altra da Bartolomeo Lanfredini.

«Ma seguitando lordine della storia, dopo le dette, fece Jacopo agli uomini di Pontormo una tavola che fu posta in Sant’Agnolo lor chiesa principale, alla cappella della Madonna, nella quale sono un San Michelagnolo ed un San Giovannni Evangelista»[1]

Ma noi sappiamo che dal 1680 si trovano sull’altare del Crocifisso, eretto dalla Compagnia di San Michele, nell’epoca in cui, come si rileva dal seguente appunto d’archivio, furono restaurate le pitture.

Ricordo come a di di Maggio sopradetto (1680) fu restauralo e rassetta[to] la Pittura della tavola della Cappella del Crocifisso di Nost[r]a Compagia (sic) Posto in Chiesa, da un tale Pittore Pisano detto de Bacheci di alcune scalcinature che era Più qua e Più la in detta tavola che davano cattiva vista a si Bella e Bona Pittura essendo mano di Jacopo Portormi Pittore antico tanto nominato essendo fatto questo per maggiore decoro di detto Pittore e tavola[2]

 Da questa notizia, come da quella del Vasari, sembrerebbe che la tavola fosse una sola, mentre da uno dei disegni del Pontormo stesso si vede chiaramente che erano due e servivano per decorare un’immagine conservata in un tabernacolo: del resto basta osservare le figure dei santi per capire che non potevano assolutamente formare la composizione d’un quadro d’altare.

Le nitide riproduzioni mi dispensano da ogni minuzia descrittiva: mi limiterò a qualche considerazione generale, rilevando anche il buono stato di conservazione, giacché il restauro non ebbe, per fortuna, altro scopo che di assicurare alcune parti sul punto di scrostarsi. Quindi, scevre da posticci rifacimenti e chiassose imbellettature, le creazioni del Pontormo balzano vive e maestose quali le concepì e le interpretò l’acuto spirito del maestro cinquecentista, in una intonazione calma, armoniosa, che vi seduce nella penombra della chiesetta rusticana. E veramente con trepidante aspettazione che ci rechiamo in questa borgata che ha dato i natali al Carrucci, ed è bello che anche qui egli abbia voluto lasciare la sua impronta gagliarda evocante tutta l’esuberanza e giovinezza del grande Rinascimento fiorentino. Gli occhi, incassati profondamente nelle orbite e che sono una particolarità del Pontormo e che si ritrovano specialmente nella veneranda figura del San Giovanni Evangelista.

Il suo atteggiamento così monumentale e plastico, il movimentato partito delle pieghe, fanno pensare ad una derivazione Michelangiolesca; scrive, il barbuto santo, mentre il suo sguardo doloroso e profondamente ispirato s’appunta in alto. Il Berenson ne scoprì lo studio nel disegno a matita nera n. 6571 conservato nella splendida raccolta della Galleria degli Uffizi, e crede che le due mani a sanguigna nello stesso foglio abbiano servito l’una per la sinistra del San Giovanni Evangelista, l’altra per la destra del San Michele.[3] Il disegno della prima figuri non subì cambiamenti nella tavola, e ci dimostra nel tocco spigliato e deciso la spontaneità della concezione originale, come possiamo vedere. bene dalla fotografia qui riprodotta per la prima volta.

Mentre nei San Giovanni Evangelista tutte le linee si compongono per dare un aspetto calmo e dignitoso al santo scrittore, nel San Michele si spezzano nella ricerca dei movimento, per dare una vivacità giovanile al santo guerriero. La composizione piena di brio e di slancio, la gustosa modellatura, costituiscono un attraente effetto d’insieme, mentre la stessa scala di toni ha simpatici contrasti tra il plumbeo e ferrigno colore: della corazza ed il gaio rosso del manto. L’artista, opponendosi alla comune iconografia, sostituisce al drago o serpente il grazioso motivo del putto che mostra il pomo: come attributi tradizionali vediamo lo scudo e là bilancia, tenuti nella mano sinistra, mentre il braccio destro teso, coperto quasi tutto dalla goffa cornice del Crocifisso, doveva impugnare la lancia.

La sanguigna n. 6506, pure della Galleria degli Uffizi, che il Berenson crede lo studio per la parte inferiore di una sottile figura di donna, a me sembra invece il disegno per le gambe dell’adolescente San Michele. In quanto poi alla pietra sulla quale, come egli dice, si appoggia il piede destro, io inclinerei piuttosto a scorgervi l’indicazione schematica di ciò che il Santo doveva atterrare.

Odoardo H. Giglioli


 

[1] Vasari, VI, pag. 259.

[2] Archivio di Stato di Firenze. Compagnie soppresse.- Compagnia di San Michele di Pontorme, M, CXX. n. 2, a c. 14.

[3] B. Berenson, The drawings at the florentine painters, London, MCMIII, II, pag. 244-245


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